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Home » Cronaca » Polonia: impossibile ricorrere contro le nomine dei giudici supremi. Corte UE: “Possibile violazione del diritto europeo”

Polonia: impossibile ricorrere contro le nomine dei giudici supremi. Corte UE: “Possibile violazione del diritto europeo”

Secondo Lussemburgo le riforme della giustizia del 2018 e del 2019 potrebbero aver minato il diritto alla tutela giurisdizionale effettiva e contribuiscono "a suscitare dubbi di natura sistemica" sull’indipendenza e all’imparzialità dei vertici della giustizia rispetto alla politica nel Paese

Gianluca Martucci</a> <a class="social twitter" href="https://twitter.com/@GianMartucci" target="_blank">@GianMartucci</a> di Gianluca Martucci @GianMartucci
2 Marzo 2021
in Cronaca

Bruxelles – Dopo essersi pronunciata sul caso dell’indipendenza dei giudici in Polonia, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) ha affermato che le modifiche alla legge sulla Corte Suprema adottate nel 2018 e nel 2019 dalle autorità polacche potrebbero aver violato il diritto europeo in materia di controllo giurisdizionale. La questione era stata sollevata nel 2018 dalla Corte suprema amministrativa polacca, che rivolgendosi al giudice europeo attraverso un rinvio pregiudiziale lo interrogava sulla compatibilità delle nuove leggi polacche con le norme europee.

La Corte Suprema amministrativa era ricorsa alla Corte europea in seguito all’approvazione nel 2018 della legge sul Consiglio nazionale della magistratura (la KRS) che limitava le possibilità di contestare le decisioni di quest’ultima in materia di nomina dei giudici della Corte Suprema. La KRS infatti aveva deciso di non tenere conto delle proposte di nomina di cinque persone a posti di giudice della Corte Suprema e di presentare al Presidente della Repubblica (che decide sulle nomine) altri candidati da lei selezionati. Nel giudicare sul ricorso dei cinque candidati scartati la Corte suprema amministrativa si è affidata alla CGUE per chiedere se il nuovo regime in vigore 2018 non rendesse di fatto inefficace le istanze presentate dai partecipanti non selezionati per la nomina.

Le nuove norme prevedevano in concreto che la delibera delle nomine della KRS sarebbe diventata definitiva a meno che il ricorso fosse stato presentato da tutti i candidati scartati. In più, nell’eventualità che la delibera fosse stata annullata su ricorso di anche un solo candidato, quest’ultimo avrebbe perso tutti i diritti per concorrere successivamente alla stessa nomina. Un meccanismo che ha fatto scattare un campanello di allarme per la Corte Suprema amministrativa su una possibile violazione del diritto UE.

Con il secondo pacchetto di riforme entrato in vigore nel 2019, dice la Corte UE, “è divenuto impossibile proporre ricorsi avverso le decisioni della KRS riguardanti la nomina a posti di giudice della Corte suprema”, privando la Corte Suprema amministrativa della competenza di pronunciarsi su tali ricorsi e di rivolgersi anche alla CGUE per ricevere delle indicazioni a riguardo. Per questo il giudice polacco ha indirizzato a quest’ultima una domanda di pronuncia pregiudiziale supplementare chiedendosi se ci fosse un’ulteriore violazione delle norme europee con la nuova normativa.

Riunita in Grande Sezione la Corte UE ha esplicitamente affermato che le leggi approvate nel 2019 in Polonia potrebbero ostare al principio di leale cooperazione tra i giudici nazionali e la Corte UE se impedissero l’espletamento e l’efficacia della procedura di rinvio pregiudiziale con cui i tribunali nazionali chiedono alla CGUE come comportarsi per rendere effettivo il diritto europeo. In più, a essere messo sotto minaccia è il diritto alla tutela giurisdizionale effettiva garantito dall’UE in caso di dubbi sulle nomine dei giudici e previsto dall’articolo 19 del Trattato sull’Unione Europea. La Corte di GIustizia Europea dice che queste modifiche potrebbero essere idonee a suscitare “dubbi legittimi quanto all’impermeabilità dei giudici nominati dalla KRS, rispetto a elementi esterni” come l’influenza diretta o indiretta esercitata dalla politica. “Simili modifiche potrebbero condurre a una mancanza di apparenza di indipendenza o di imparzialità di detti giudici, tale da ledere la fiducia che la giustizia deve ispirare ai singoli in una società democratica e in uno Stato di diritto”, prosegue il giudice di Lussemburgo.

Secondo la Corte, l’indipendenza e l’imparzialità richieste dall’ordinamento europeo “presuppongono l’esistenza di norme che disciplinino la nomina dei giudici”. Inoltre con il nuovo regime applicato nel 2018 è stata offerta solo una parvenza di ricorso giurisdizionale rendendolo privo di qualsiasi effettività reale, mentre le norme del 2019, rendendolo del tutto impraticabile e contribuiscono “a suscitare dubbi di natura sistemica quanto all’indipendenza e all’imparzialità dei giudici nominati”.

Per entrambi i due regimi introdotti la questione viene rimessa nelle mani dei giudici polacchi, che devono verificare, sulla base delle indicazioni fornite dalla Corte UE, se si tratta di una vera e propria violazione del diritto europeo. In caso affermativo dovranno disapplicare gli effetti delle modifiche legislative adottate nel Paese nel 2018 e nel 2019 e ad applicare le norme precedentemente in vigore. Un portavoce della Commissione europea ha dichiarato che la questione verrà monitorata anche da Bruxelles per verificare l’esistenza di una violazione del rispetto dello stato di diritto.

Tags: cgueconsiglio nazionale della magistraturacorte di giustizia ueCorte suprema polaccadiritto europeoindipendenza dei giudiciPoloniatutela giurisdizionale effettiva

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