Bruxelles – Sarà capitato almeno una volta a ognuno di noi di voler vedere un contenuto multimediale, ma di visualizzare invece la schermata che recita “l’autore che l’ha caricato non ha reso disponibile questo video nel tuo Paese”. In gergo si definisce geoblocking, ed è un blocco dei contenuti on-line attuato per ragioni geografiche. Se una pratica simile si verifica rispetto a un servizio o a un contenuto offerto in un altro Paese membro UE, potrebbero esserci gli estremi per una discriminazione per nazionalità e luogo di residenza. La pensano in questo modo i membri del Parlamento Europeo, nell’interrogazione alla Commissione UE approvata in Aula. Qui si chiede chiarezza all’esecutivo comunitario circa i prossimi passi per la revisione del Regolamento sul geoblocking del 2018.
“Continuiamo a monitorare l’evoluzione del commercio online”, ha risposto Johannes Hahn, commissario per il Bilancio e l’amministrazione. “Prevediamo una nuova revisione del Regolamento nel 2022“. Questa dichiarazione è in linea con le conclusioni del primo rapporto a breve termine pubblicato dalla Commissione il 30 novembre dello scorso anno, a 18 mesi dall’attuazione del Regolamento. Ma c’è di più. “Valuteremo i progressi raggiunti, produrremo orientamenti con aggiornamenti e chiarimenti e vaglieremo anche la possibilità di interventi legislativi“.
Dalle parole del commissario Hahn emerge che la Commissione condivide la visione degli europarlamentari della necessità di “garantire l’applicazione efficace delle regole per lottare contro i blocchi ingiustificati dei contenuti“, impegnandosi a “monitorare gli aspetti correlati al geoblocking e approfondire i casi di discriminazione”. Secondo il commissario c’è una grande differenza tra “la scelta commerciale di fornire o meno la consegna trans-frontaliera” e le prassi “prive di giustificazione oggettiva, che implicano discriminazioni tra i cittadini comunitari”.
Al centro dell’attenzione c’è la possibilità di estendere ai contenuti audiovisivi il divieto di blocco dei contenuti. “Vogliamo individuare i passi concreti per migliorare la disponibilità e l’accesso su tutto il suolo comunitario”, ha spiegato il commissario Hahn. “Avvieremo un dialogo con le parti interessate per definire gli obiettivi, dall’industria dei media alle associazioni di categoria”.
Da parte del Parlamento Europeo si percepisce preoccupazione per la situazione attuale, ma anche per gli scenari futuri. La relatrice Anna Cavazzini (Verdi/ALE) ha avvertito che non consentire l’accesso ai contenuti audiovisivi è “una vera e propria discriminazione digitale“. Ancora più di prima, durante la pandemia COVID-19 “tutti abbiamo realizzato che lo streaming è stato escluso dal Regolamento, ce ne siamo accorti quando abbiamo cercato di guardare film o serie televisive di un altro Stato membro”. Per questo motivo è necessario “rendere disponibile i contenuti digitali a tutti i cittadini europei” e garantire loro gli stessi diritti: “È una pietra angolare per il Mercato unico digitale“, ha aggiunto l’eurodeputata tedesca.
Ma la riflessione sull’estensione del divieto del geoblocking ai contenuti audiovisivi deve essere approfondita tenendo in considerazione tutte le conseguenze che potrebbe comportare. Per esempio, l’europarlamentare in quota PD Massimiliano Smeriglio (S&D) ha avvertito che potrebbe esserci il rischio di non riuscire più a finanziare la creazione di servizi e contenuti nazionali, “con pesanti conseguenze sull’occupazione di questo comparto”. Il pericolo è che “se venisse meno il principio della territorialità”, si potrebbe verificare una “concentrazione dell’offerta nelle mani di pochi attori dominanti, a scapito di offerte alternative e indipendenti”. La controproposta è quella di “ampliare l’offerta di contenuti culturali trans-frontalieri” e “promuovere la creazione di contenuti con partecipazioni di diversi Paesi UE“. In questo modo, secondo Smeriglio, “riusciremo a sostenere un settore messo in crisi anche dai giganti delle piattaforme online di streaming“.