Ursula von der Leyen nel suo intervento di un paio di giorni fa al Parlamento europeo per spiegare il suo punto di vista sula questione del “sofagate” non ha affrontato il fulcro della questione.
Ha puntato tutto sul suo essere donna, sul fatto di essere stata maltrattata in quanto tale dal presidente turco Erdogan. Punto che esiste, come ha detto lei stessa se il presidente della Commissione europea fosse stato un uomo quello sgarbo non ci sarebbe stato. Vero, è stata una scelta riprovevole, condannabile, esecrabile. Ma insistere su questo punto è evitare il problema, è dare la risposta più ovvia e banale, spostando tra l’altro tutta la responsabilità sul presidente turco.
Invece la responsabilità di quanto è successo è, dal mio punto di vista di europeo rappresentato da von der Leyen e Charles Michel, proprio sulle loro spalle.
La sfilza di errori è lunghissima. Il primo, alla base di tutto, è stato quello di andare ad Ankara, a far fare una passerella al presidente turco che ho ha rafforzato di fronte ai suoi cittadini, nonostante il ritiro dalla convenzione di Istanbul sulla violenza contro le donne, nonostante gli arresti di politici, giornalisti, studenti, nonostante le violazioni dei confini, nonostante tutto ciò contro cui l’Unione dice di voler combattere.
Poi c’è stata la vicenda veramente grottesca dei sopralluoghi prima degli incontri. La Commissione non ha mandato neanche un addetto al protocollo ma solo uno della sicurezza, mentre il Consiglio lo ha fatto, e l’allegro gruppetto di funzionari UE si è fatto negare l’accesso a quella sala dove poi si è svolto il “sofagate”, con il preteso che “è troppo vicina agli uffici di Erdogan, una questione di sicurezza”. Dunque gli emissari di von der Leyen e Michel sono stati trattati come potenziali terroristi, da tenere lontani dal presidente della Turchia. E loro zitti, hanno alzato le mani e accettato questa umiliazione, che è già una prima umiliazione per tutti noi cittadini europei.
Ma qui c’è un altro problema; perché la Commissione non ha mandato nessuno, sapendo poi bene che le cose con Erdogan non sono come con un Macron o un Biden? Si è fidata dei funzionari del Consiglio? E questa sarebbe una bella cosa, ma non prendersi in carico una responsabilità del genere in prima persona vuol dire non aver capito la situazione in cui si era e le sue possibili evoluzioni.
L’incontro si è dunque svolto in una sala nella quale Michel si è precipitato senza indugi a sedersi accanto a Erdogan (ha colto l’occasione? Sapeva?). Lui ha spiegato di averlo fatto per non creare “problemi maggiori” e non compromettere il dialogo bilaterale. Ma che dialogo c’è se tu vieni umiliato?
E inoltre: la scelta di Michel, così come l’ha spiegata lui, è quella di qualcuno che, per lo meno, non sa analizzare la complessità di una situazione e non sa gestirla al meglio. Pensate che effetto avrebbe fatto su Edogan, sulle donne turche, sulle donne e tutti cittadini europei se il presidente del Consiglio europeo avesse avuto la lucidità di lasciare il posto a von der Leyen, ma non per un atto di gentilezza verso una donna, stupidaggini in questo ambito, ma come atto politico di affermazione di una linea precisa dell’Unione europea.
Il problema è che una linea precisa dell’Unione non c’è, e lui non si è sentito di assumersi una leadership. Anche il fatto che l’Unione debba essere sempre rappresentata da almeno due persone fa perdere di credibilità: nei vertici internazionali tutti sono in uno, tranne la Commissione, che ha sempre due persone.
Von der Leyen l’ha messa tutta sul fatto “sono donna”, un po’ per salvare Michel e con lui i difficili equilibri dell’Unione, un po’ per evitare i problemi veri della politica estera europea, dimenticando che con lei non sono state offese non solo le donne europee, ma anche gli uomini, i bambini. Da Erdogan e dalla pasticciata politica estera europea. E continuiamo ad esserli da interventi parlamentari di questo tipo.