Roma – La buona notizia è che il disgelo tra Giuseppe Conte e Beppe Grillo porterà a una ricomposizione insperata del Movimento. Quella meno buona è che la riforma della giustizia rimane indigesta per molti penta stellati e fa prevedere un campo di battaglia dagli esiti incerti.
Il premier Draghi probabilmente la vede così e si prepara agli inevitabili scossoni nella maggioranza, pur mantenendo la sicurezza di una maggioranza dai numeri molto ampi agli occhi dell’Europa. Bruxelles vigila, domani ci sarà l’ultimo semaforo verde dell’Ecofin ai piani di resilienza nazionali approvati dalla Commissione, e dunque bisognerà fare sul serio nella gestione dei progetti e nell’accompagnare gli interventi con le riforme promesse.
Molto presto sapremo se quella telefonata tra Draghi e Grillo nel pieno della trattativa sugli emendamenti del processo penale (non smentita da palazzo Chigi) conteneva quelle rassicurazioni per andare avanti e superare lo scoglio parlamentare. Nel Movimento le acque si sono momentaneamente calmate dopo le prime bordate contro quella che viene definita una ‘demolizione’ della riforma Bonfede della prescrizione.
Fra due settimane il testo arriverà in aula per il primo esame e non è da escludere che ci sarà qualche altra limatura perché, la proposta della ministra Marta Cartabia ha scontentato il M5S ma contiene aspetti negativi anche per Forza Italia e parte del centrodestra.
Draghi avrà comunque di che rallegrarsi se l’accordo siglato ieri porterà a una leadership del movimento più solida e la definitiva consacrazione di Giuseppe Conte. “Ora possiamo ripartire” ha detto l’ex premier, soddisfatto pienamente delle soluzioni organizzative e delle regole stabilite e su cui poggerà la futura dirigenza politica. Lodo che sarà sottoposto all’esame degli attivisti nella modalità on line salvaguardando lo strumento della democrazia diretta.
La fumata bianca annunciata durante l’assemblea dei parlamentari non ferma il lavoro del gruppo dei pontieri che hanno evitato il rischio scissione e ricompattato la pattuglia parlamentare. Luigi Di Maio, Federico D’Incà, Stefano Patuanelli con la delegazione al governo e tutti coloro che hanno lavorato alla mediazione (incluso il presidente della Camera Roberto Fico) dovranno ancora faticare per rimettere il Movimento 5 Stelle nei binari. Se la scissione sembra scongiurata non è infatti escluso che altri esponenti dell’ala più ortodossa decidano di uscire dalla maggioranza.
Non solo i temi della giustizia stanno rendendo la navigazione di Draghi più complicata del previsto. In cima alla lista c’è l’occupazione, che con la fine del blocco dei licenziamenti sta andando in sofferenza decine di chiusure che si aggiungono a un centinaio di crisi già aperte. La partenza effettiva dei progetti del Recovery plan già in autunno sarà dunque determinante per arginare il peggioramento delle tensioni sociali.