Bruxelles – Stress idrico. E’ così che si definisce un insieme di fattori – come la crescita demografica, ma soprattutto le attività economiche e i cambiamenti climatici – che possono aumentare la carenza d’acqua, un problema sempre più diffuso anche nell’Unione Europea dove un quarto di tutta l’acqua usata è impiegato per l’agricoltura. Ancora una volta è il settore agricolo a finire nel mirino della Corte dei Conti europea, che pubblica oggi (28 ottobre) una relazione speciale “sull’utilizzo idrico sostenibile in agricoltura”, da cui emerge che le politiche europee non hanno promosso pratiche abbastanza efficaci per un uso più sostenibile delle risorse idriche.
L’agricoltura impatta sia sulla qualità dell’acqua (con l’utilizzo di fertilizzanti e pesticidi) ma anche sulla quantità disponibile. Dal 1990 ad oggi, la Corte di Lussemburgo rileva che il consumo di acqua a fini agricoli è diminuito del 28 per cento, ma nonostante questo la “quantità di acqua usata in agricoltura resta insostenibile”, puntualizza Joëlle Elvinger, relatrice della Corte dei conti europea in un briefing con la stampa. Secondo i dati dell’Agenzia europea dell’ambiente (AEA), il 24 per cento delle estrazioni idriche nell’UE è riconducibile all’agricoltura. “L’acqua è una risorsa limitata, e il futuro dell’agricoltura dell’UE dipende in larga misura da quanto gli agricoltori la usino in modo efficiente e sostenibile”, ha aggiunto Elvinger. Ma finora, le politiche dell’UE non sono state abbastanza efficaci nel ridurre la pressione agricola sulle risorse idriche del Continente.
Troppe esenzioni per gli agricoltori
La relazione della Corte si sofferma innanzitutto sul ruolo della direttiva quadro sulle acque del 2000, che ha introdotto politiche relative all’uso sostenibile delle acque e stabilito l’obiettivo di raggiungere “un buono stato quantitativo di tutti i corpi idrici dell’UE”. Ma l’analisi conclude che il più delle volte le politiche agricole non sono in linea con quelle in materia di acqua: gli Stati membri concedono agli agricoltori troppe esenzioni dagli obblighi della direttiva, sia per quanto riguarda l’autorizzazione all’estrazione e sia il sistema di tariffazione dell’acqua a cui dovrebbe applicarsi il principio “chi inquina paga”.
Tutti gli Stati membri analizzati dalla Corte hanno un sistema di autorizzazione preventiva per le estrazioni idriche, ma spesso ci sono esenzioni o casi in cui non è obbligatorio misurare i quantitativi di acqua utilizzati. Quindi gli stessi Stati membri non possono verificare se le estrazioni si mantengono al di sotto di un livello significativo. La Corte cita tra questi anche alcuni tipi di estrazioni in Italia (Emilia Romagna), presa in esame più da vicino insieme al Belgio (Fiandre), Bulgaria, Germania (Berlino-Brandeburgo), a Cipro e Portogallo. Quanto al sistema di pagamento dell’acqua sfruttata a usi agricoli, da Lussemburgo rilevano che l’acqua in agricoltura resta più economica rispetto a molti altri settori e molti Stati membri non chiedono proprio agli agricoltori di ripagare i costi dei servizi idrici in agricoltura, a differenza di quanto avviene per altri settori. Nel caso italiano, insieme alla Spagna (Andalusia e Castiglia-La Mancha) si considera di far pagare i costi delle risorse solo se c’è carenza di acqua.
La PAC non ferma lo stress idrico
Nel mirino c’è chiaramente anche la Politica agricola comune (2014-2020) – che rappresenta circa un terzo dei fondi del budget comunitario a lungo termine – che ha tra gli obiettivi strategici la gestione sostenibile delle risorse naturali (tra cui l’acqua). La ormai vecchia PAC non è riuscita a mitigare il fenomeno: il sistema dei pagamenti diretti (primo pilastro PAC) non incentiva gli agricoltori a un uso più sostenibile delle risorse idriche, anzi, in alcuni casi, gli aiuti diretti sostengono colture che richiedono grande dispendio di acqua (riso, frutta a guscio e prodotti ortofrutticoli). Anche sul meccanismo di condizionalità della PAC – per vincolare i pagamenti al rispetto di determinati obiettivi ambientali – gli Stati membri non effettuano abbastanza controlli e verifiche adeguate per scoraggiare realmente lo stress idrico.
Quanto al secondo pilastro della PAC, lo sviluppo rurale, la Corte ritiene che gli Stati membri possano fare molto di più per utilizzare i fondi per lo sviluppo rurale per finanziare misure di ritenzione naturale delle acque, ad esempio investendo in infrastrutture di nuova tecnologia per il riutilizzo delle acque reflue per irrigare i campi.
Le raccomandazioni di Lussemburgo
Tra le raccomandazioni, i revisori di Lussemburgo chiedono agli Stati membri di chiarire i livelli di tariffazione dell’acqua e le esenzioni dall’obbligo di autorizzazione all’estrazione, alla Commissione europea di subordinare l’erogazione dei pagamenti della PAC al rispetto di norme ambientali
che tengano conto di un uso più sostenibile delle risorse idriche. Infine, fare in modo “che i progetti finanziati dall’UE contribuiscano al conseguimento degli obiettivi della direttiva quadro in materia di acque”.