Il primo ministro spagnolo, Pedro Sánchez, ha annunciato in settimana l’introduzione in Spagna nella prossima legge di bilancio di un bonus cultura. Tale bonus sarà destinato ai diciottenni e spendibile per l’acquisto di libri o attività come teatro, cinema, danza o musica.
Una buona notizia soprattutto nell’ottica della proposta fatta dall’Italia all’Unione Europea di creare una card cultura unica per tutti i giovani europei. E’ quanto ha sottolineato il ministro della cultura italiano, Dario Franceschini, che ha aggiunto: “Dopo la Francia, anche la Spagna ha deciso di introdurre il bonus cultura per sostenere i consumi culturali dei giovani, seguendo così l’esempio dell’Italia. Il nostro modello, introdotto nel 2016 dal Governo Renzi, è di esempio in Europa”.
Ma l’Italia è realmente in grado di proporsi come leader europea nelle politiche culturali?
L’Italia e la cultura
A fine luglio scorso, di fronte ai ministri della Cultura del G20 riuniti al Colosseo, il premier Mario Draghi ha affermato come quella fosse la prima ministeriale della Cultura nella storia del G20. “E sono molto, molto orgoglioso che questo debutto avvenga in Italia – ha aggiunto -. Questo posto stasera con questa luce testimonia meglio di ogni parola come storia e bellezza siano parte inerenti dell’essere italiani. Quando il mondo ci guarda, vede prima di tutto arte, musica, letteratura, segni della storia antica”.
D’altronde l’Italia è il Paese con il maggior numero di siti (ben 58) che l’Unesco considera Patrimonio Mondiale dell’Umanità. Il settore dei viaggi e del turismo vale il 13 per cento del PIL e impiega tre milioni e mezzo di persone. Numeri davvero importanti, che candidano di fatto l’Italia ad essere un paese guida in questo settore.
“L’Italia crede fortemente nella diplomazia culturale quale ponte tra le nazioni – ha aggiunto in quella occasione il ministro Franceschini – anche tra Paesi più distanti perché ben prima delle azioni di governo la cultura parla ai popoli”.
E il documento finale, sottoscritto da tutti i ministri della cultura del G20, enuncia in 32 punti delle azioni concrete di sicuro impatto. E’ stato tracciato un programma che qualsiasi paese che si voglia candidare ad essere leader culturale dovrebbe guidare verso l’attuazione.
L’Italia e il suo ruolo in Europa
Se allarghiamo le considerazioni anche ad altri settori quali l’economia o la politica, l’Italia sta guadagnando in Europa sempre più spazio e considerazione. L’uscita di scena di Angela Merkel, con la sua recente apparizione in Italia a fianco del premier Draghi, sembra lasciare un vuoto di potere che il risultato delle elezioni in Germania non consentirà di colmare con una nuova candidatura tedesca.
Oltre al passato europeo di altissimo profilo del premier Draghi, anche il possibile secondo mandato di David Sassoli e l’operato di Paolo Gentiloni in una carica delicata all’interno della Commissione Europea stanno dando un’immagine chiara della nuova dimensione politica e economica che l’Italia sta ricoprendo all’interno dell’Unione Europea.
Una parola che ritorna spesso in questo periodo è quella di “Rinascimento Europeo”. E, guardando la storia, è possibile circoscrivere il rinascimento ad un periodo e un territorio ben precisi: l’Italia, appunto. E’ presto per poter avere certezze in questo senso, perché la Germania è e resterà sempre un paese molto influente in campo europeo, così come la Francia e la Spagna. Ma i tempi in cui l’Italia veniva annoverata tra i PIGS sono ormai lontani. Il futuro sembra pronto a raccontare una storia di equilibri europei completamente diversi.
I dati Istat sull’istruzione e la formazione in Italia
Tuttavia è difficile ragionare di cultura senza allargare l’analisi ai campi dell’istruzione e della formazione. E’ in questi settori che si costruisce non solo il presente, ma soprattutto il futuro della cultura.
I dati pubblicati dall’Istat l’8 ottobre su questo fronte sono impietosi e evidenziano un drammatico divario con il resto dell’Unione Europea.
Il principale indicatore del livello di istruzione di un Paese è la quota di popolazione tra i 25 e i 64 anni in possesso di almeno un diploma. Il diploma è considerato il livello di formazione indispensabile per una partecipazione al mercato del lavoro con potenziale di crescita individuale.
Ebbene, in Italia, nel 2020, tale quota è pari a 62,9 per cento (+0,7 punti rispetto al 2019). E’ un valore decisamente inferiore a quello medio europeo (79,0 per cento nell’Ue27) e a quello di alcuni tra i più grandi paesi dell’Unione.
Anche la quota dei 25-64enni con una laurea in Italia è molto bassa, essendo pari al 20,1 per cento contro il 32,8 per cento nella media Ue27. Il dato 2020 conferma come la crescita della popolazione laureata in Italia sia più lenta rispetto agli altri paesi dell’Unione. L’incremento è di soli 0,5 punti nell’ultimo anno, meno della metà della media Ue27 (+1,2 punti) e decisamente più basso rispetto a quanto registrato in Francia (+1,7 punti), Spagna (+1,1) e Germania (+1,4).
Forte il divario interno all’Italia, dove le quote di laureati sono più alte al Nord (21,3 per cento) e al Centro (24,2 per cento) rispetto al Mezzogiorno (16,2 per cento), ma comunque lontane dai valori europei.
Anche per quanto riguarda la formazione, la partecipazione degli adulti è inferiore alla media europea. Le differenze più forti si registrano per la popolazione disoccupata o con bassi livelli di istruzione.
Sono dati che sanciscono il fallimento definitivo della Strategia Europa 2020 e dei suoi target. Gli scenari che si aprono per il futuro del Paese sono preoccupanti, sotto tutti i punti di vista.
Le attese per il futuro
In considerazione di quanto detto fino ad ora, la risposta alla domanda iniziale sulla leadership dell’Italia nella politica culturale non può essere univoca.
Le conquiste che l’Italia ha ottenuto a livello europeo, soprattutto in termini di reputazione e affidabilità, sono un dato di fatto che deve essere mantenuto e ampliato nel tempo. D’altronde, il settore della cultura non è avulso dal contesto, come fosse estraneo alle spinte economiche e politiche che di fatto ne sostengono l’azione. E in questo senso la forte crescita dell’Italia in questi settori fa ben sperare.
Il fronte interno dell’istruzione, tuttavia, manifesta ancora diverse lacune, su cui è necessario lavorare con serietà e tempestività. Un divario così ampio dell’Italia rispetto alla media europea è preoccupante per il futuro. Senza considerare il fatto che i giovani che oggi affrontano il mondo dell’Istruzione sono gli stessi che domani dovranno gestire la fase debitoria che il PNRR sta di fatto generando.
Serve tempo, ma anche capacità di “far accadere” quel reale cambiamento nella cultura e nell’istruzione atteso ormai da troppo, per il futuro dell’Italia e dell’Europa.