Bruxelles – Il Parlamento Europeo ha chiesto alle autorità cinesi di rispondere alle accuse di espianto coatto degli organi sui carcerati e di permettere un controllo indipendente da parte dei meccanismi internazionali per i diritti umani. È quanto emerge dalla risoluzione approvata ieri (5 maggio), sulla base di una sentenza del 2020 sull’allarme lanciato dall’ONU lo scorso anno e di una serie di segnalazioni secondo cui queste pratiche si verificherebbero “in maniera persistente, sistematica e disumana, con il benestare dello Stato”.
L’Europa aveva già condannato le autorità della Repubblica Popolare nel 2013, e a più riprese successivamente, dopo che fonti “affidabili” avevano denunciato “episodi sistematici e autorizzati dallo Stato di espianto coatto di organi da prigionieri di coscienza non consenzienti”. Il termine ‘prigioniero di coscienza’ indica chiunque venga trattenuto fisicamente – ad esempio in carcere – dall’esprimere un’opinione non violenta.
Nel caso cinese, gli espianti avverrebbero in particolare sugli adepti del Falun Gong, il movimento fondato nel 1992 da Li Hongzhi ed etichettato da Pechino come ‘culto malvagio’ – cioè setta –, al bando dal 1999 a causa delle manifestazioni contro il Partito Comunista. Anche su alcune minoranze etniche, tra cui quella uigura e tibetana, e perfino alcuni cristiani.
Un regolamento, introdotto in Cina nel 1984, autorizzava l’espianto coatto di organi dai detenuti giustiziati, a sentenza eseguita. Tanto che, già verso la fine del 2005, l’ex viceministro della Sanità Huang Jiefu aveva ammesso che il 95 per cento degli organi utilizzati nei trapianti provenisse dai carcerati. Il motivo era il tasso estremamente basso dei donatori cinesi: secondo le stime di PubMed, dal 1977 al 2009, sarebbero stati solo 130 contro i 120mila trapianti avvenuti nel Paese nello stesso periodo. Sulla carta, questa pratica è stata sostituita nel 2015 da un sistema di donazioni volontarie, per quanto ancora in larghissima parte provenienti dai detenuti.
Per questo, il Parlamento Europeo ha espresso preoccupazione per la mancanza di un’autorità indipendente, che possa valutare se il consenso dato dai carcerati sia “valido”. Nella risoluzione, gli eurodeputati hanno anche invitato l’alta commissaria dell’ONU per i Diritti umani, Michelle Bachelet, di indagare sul tema una volta in Cina, nella visita ufficiale prevista in questo mese.
“Il sistema totalitario del Partito Comunista Cinese (PCC) continua a reprimere e distruggere la libertà e la dignità umana. Nel caso dell’espianto coatto degli organi, come per il lavoro forzato, arrivano a guadagnare dai propri crimini contro l’umanità”, ha dichiarato l’eurodeputata slovacca Miriam Lexmann (PPE), sanzionata dalla Cina lo scorso anno, in sede di dibattito. “Per troppo tempo siamo rimasti in silenzio. Ecco perché è tempo che la Corte penale internazionale indaghi su questi crimini”. Anche l’europarlamentare belga Marie Arena (Socialisti) ha sottolineato che “è tempo che l’Unione Europea condanni pubblicamente questa violazione dei diritti umani e agisca per prevenire il turismo dei trapianti da parte degli europei”. Mentre secondo Reinhard Bütikofer (Verdi), a partire dal 2015 non ci sarebbero prove del fatto che questa pratica sia ancora in atto, per quanto non se ne possa escludere la possibilità.