Bruxelles – Un sistema di criteri comuni a livello europeo per classificare le attività economiche sostenibili con cui finanziare il Green Deal. Si definisce così la tassonomia ‘verde’ a cui lavora la Commissione europea per introdurre a livello europeo un’etichetta verde per gli investimenti considerati sostenibili, con l’obiettivo di mobilitare grandi somme di capitale (provenienti in particolare dal settore privato) in attività che contribuiscano ai suoi obiettivi climatici e ambientali. Le attività escluse dalla tassonomia non saranno vietate nell’UE, ma l’idea alla base della classificazione è quella di fare in modo che la gran parte delle risorse private siano investite in attività o progetti che ne fanno parte.
Un regolamento e sei obiettivi ambientali
Nei fatti la tassonomia si traduce in un regolamento che ha stabilito sei obiettivi ambientali: mitigazione e adattamento al cambiamento climatico, l‘uso sostenibile e la protezione delle acque e delle risorse marine; la transizione verso un’economia circolare; la prevenzione e la riduzione dell’inquinamento; la protezione e il ripristino della biodiversità e degli ecosistemi. Un’attività economica per entrare nella tassonomia ed essere considerata sostenibile deve contribuire “in modo significativo” al raggiungimento di almeno uno di questi sei obiettivi fissati da Bruxelles, ma nessuno di questi obiettivi può essere compromesso, ovvero l’attività non può “provocare un danno significativo” (secondo il principio del ‘do not significant harm’) a nessuno degli altri cinque. I dettagli di questi criteri sulle singole attività sono stati lasciati, di proposito, dalla Commissione europea alla definizione attraverso degli atti delegati secondari e separati.
Una scelta contestata in particolare dall’Eurocamera, dal momento che l’atto delegato non prevede una discussione legislativa ma dà solo tempo quattro mesi (estendibili a sei) ai due co-legislatori di Parlamento e Consiglio di bocciarla con maggioranze diverse. L’Esecutivo europeo ha presentato ad aprile 2021 il primo atto delegato che riguarda i primi due dei sei obiettivi (quelli propriamente climatici) andando a coprire oltre dieci settori, dall’energia rinnovabile alla silvicoltura passando per la ristrutturazione degli edifici e i trasporti, e includendo una soglia di 100 grammi di CO₂ equivalente per kilowattora per la generazione di energia elettrica e calore/freddo, indipendentemente dalla tecnologia usata per queste attività. In questa occasione, la Commissione europea ha scelto di non decidere sul gas e sull’energia nucleare che pure rientrano in questi primi due obiettivi, sotto la pressione delle industrie e degli Stati membri sulla questione.
Criteri divisivi su gas e nucleare
Il secondo atto delegato (complementare a quello di aprile) per andare a definire gas e nucleare è stato adottato lo scorso 2 febbraio, dopo una prima bozza trasmessa informalmente agli esperti degli Stati membri nella notte del 31 dicembre (per ricavarne “gli umori” prima di andare ad avanzare l’atto vero e proprio). Nella proposta della Commissione, si considerano “sostenibili” le centrali a gas con emissioni inferiori a 100 grammi di CO₂ equivalente per kilowattora. Gli impianti che ricevono un permesso di costruzione entro il 31 dicembre 2030 devono rispettare il limite di emissioni di gas serra inferiori a 270 g di CO₂ equivalente per kWh e soprattutto devono andare a sostituire un impianto a combustibili fossili più inquinante e già in attività. L’obiettivo della Commissione, come si legge nell’atto delegato, è quello di arrivare a una produzione di energia elettrica al 100 per cento da gas rinnovabili (biogas, biometano, idrogeno verde) e a basse emissioni entro il 2035, senza step temporali intermedi.
Quanto all’energia elettrica prodotta da centrali nucleari, il discorso è in parte diverso perché l’energia atomica non produce emissioni di CO₂ ed è questo il motivo per cui diversi Stati membri – come la Francia – continuano a sostenerne l’inclusione nel proprio mix energetico, anche se il problema connesso all’energia dell’atomo è quello dello smaltimento dei rifiuti radioattivi. Secondo la proposta della Commissione, i permessi per la costruzione di nuovi impianti nucleari non potranno essere rilasciati dopo il 2045 dagli Stati membri, mentre per estendere la vita degli impianti esistenti i permessi dovranno essere rilasciati entro il 2040. Le centrali serviranno per la produzione di elettricità o calore e anche la produzione di idrogeno, utilizzando le “migliori tecnologie disponibili” (“Best Available Technologies” come da requisiti della direttiva del Consiglio 2009/71/Euratom) e i combustibili tolleranti agli incidenti (AFT), ovvero un insieme di nuove tecnologie che hanno il potenziale per migliorare la sicurezza nelle centrali nucleari, che saranno obbligatorie dal 2025.
Nessuna scadenza temporale per il nucleare di cosiddetta IV generazione che include tecnologie avanzate a ciclo chiuso del carburante per ridurre al minimo gli sprechi. La creazione di nuove centrali nucleari è vincolata all’obbligo per gli Stati membri di attivare un fondo per la gestione dei rifiuti radioattivi e lo smantellamento degli impianti a fine vita. I governi dovranno quindi mettere nero su bianco un piano per fare entrare in funzione, al più tardi entro il 2050, un impianto a livello nazionale per lo smaltimento di rifiuti altamente radioattivi, sul quale riferiranno ogni 5 anni alla Commissione UE.
Tutti i numeri della tassonomia europea
La proposta, se pure ormai attesa, ha letteralmente spaccato in due l’Unione europea. Pioggia di critiche è arrivata sia dal Parlamento europeo sia dal Consiglio che riunisce gli Stati membri, che si sono intensificate alla luce della necessità proclamata da Bruxelles di ridurre la propria dipendenza dal gas russo al più tardi entro il 2027, come risposta all’invasione dell’Ucraina e alla presa di coscienza che dipendere energeticamente da un partner inaffidabile come Mosca rende l’Unione meno strategicamente indipendente. C’è chi è contrario all’inserimento del gas, chi all’inclusione dell’energia atomica, chi ancora a entrambi.
I due co-legislatori di Parlamento e Consiglio UE hanno potere di veto sul testo della tassonomia, ma con numeri molto differenti. A inizio marzo si è aperto il periodo di quattro mesi (prorogabili fino a sei) per opporsi al regolamento proposto dalla Commissione. In Consiglio serve una super maggioranza di 20 dei 27 paesi dell’UE – molto difficile da raggiungere –, mentre all’Eurocamera è sufficiente la maggioranza assoluta dei deputati in sessione plenaria (353 deputati). L’Europarlamento voterà nel corso della prossima plenaria a Strasburgo in programma dal 4 al 7 luglio su un’obiezione presentata a maggio da una coalizione trasversale di gruppi parlamentari, che va dalla destra del Partito popolare europeo (PPE) alla sinistra, che hanno chiesto di bocciare la proposta della Commissione. L’obiezione è passata con una maggioranza non enorme (76 voti favorevoli, 62 contrari e 4 astenuti) nelle due commissioni riunite degli Affari economici (Econ) e dell’Ambiente (Envi) competenti per la questione, ma il fatto che sia stata accolta non significa che in automatico passerà anche dalla plenaria.
Alla vigilia del voto, l’Eurocamera appare divisa. Il Partito popolare europeo, con la maggioranza dei seggi, ha una maggioranza a favore della proposta della Commissione europea ma è probabile che non darà indicazione di voto ai suoi parlamentari, in una decisione che molto ha che fare con il Paesi a cui le delegazioni appartengono, più che al gruppo politico. A votare contro l’obiezione saranno anche i Conservatori e Riformisti di ECR e i liberali di Renew Europe (che evidentemente seguiranno la linea dettata dal presidente francese Emmanuel Macron). I Socialdemocratici sosterranno invece l’obiezione, ma il voto sarà “stretto” e di misura. Con loro anche i Verdi e la Sinistra unitaria (ex GUE). Questi, in linea generale, gli orientamenti al voto già espressi dai gruppi politici, ma in quanto decisione molto politica (e molto legata alle esigenze nazionali, ad esempio buona parte dei Paesi dell’Est sono favorevoli a mantenere il nucleare nella tassonomia) si attende una conta all’ultimo voto. Se l’atto delegato verrà bocciato dall’Eurocamera, la Commissione europea sarà costretta a ritirarlo o a modificarlo.