Bruxelles – Le mafie non conoscono confini. Sembra una banalità, ma in ampi settori dell’opinione pubblica e della politica europea si fa ancora fatica a considerare il fenomeno mafioso come una questione economica e sociale che può colpire ovunque, soprattutto dove si concentrano grossi capitali. “Segui il denaro”, il metodo di Giovanni Falcone, è sempre valido. E in un’Unione in cui i capitali possono muoversi liberamente, le mafie si trovano nei carichi di cocaina sequestrati nel porto di Anversa o nel più grande mercato di fiori del continente ad Alsmeer (vicino ad Amsterdam), nelle piantagioni di fragole del Sud-ovest tedesco e in tutte le capitali europee, dove circolano traffici illegali e soldi da riciclare nell’economia legale. L’Ue però ancora non lo riconosce come un problema comunitario, come dimostra l’assenza di una legislazione antimafia unica per tutti i Paesi membri e nonostante le ripetute richieste arrivate da Roma e dalle associazioni di contrasto al fenomeno mafioso.
In vista del voto del 25 settembre, il Partito Democratico ha deciso di inserire la questione della legge europea antimafia nel suo programma Insieme per un’Italia democratica e progressista: “Adozione a livello europeo di una legislazione sulla confisca dei beni e sui delitti di associazione mafiosa, sul modello della legislazione italiana“. Una proposta che si accompagna alla necessità di spingere parallelamente sulla “creazione dell’Agenzia europea antiriciclaggio e lavorare affinché abbia sede in Italia” e sulla “digitalizzazione degli scambi informativi e delle prove giudiziarie nel contrasto alle mafie e al terrorismo”. Se è vero che ancora non è stata varata – né tantomeno discussa – una legge antimafia a livello Ue, gli ultimi anni hanno mostrato che l’asticella dell’attenzione si sta lentamente alzando anche a Bruxelles, complici gli scandali sui fondi Ue per l’agricoltura intascati dalle associazioni criminali di stampo mafioso nel Sud Italia e in Slovacchia (per cui nel 2018 è stato assassinato il giornalista Ján Kuciak) e la consapevolezza che nel mirino ci sono ora i 750 miliardi di euro stanziati in tutti i Paesi membri dell’Unione dal Next Generation Eu.
Una dimostrazione è arrivata dal Parlamento Europeo, che in una risoluzione del 20 gennaio 2021 ha “deplorato la disomogeneità e la non adeguatezza della normativa europea destinata a contrastare la criminalità organizzata transfrontaliera”. La Commissione è stata esortata a “presentare una proposta legislativa di direttiva” (atto legislativo che stabilisce un obiettivo che tutti i Paesi membri devono realizzare attraverso disposizioni nazionali) “che preveda l’aggiunta del reato di associazione criminale che, sul modello di quello mafioso“, è caratterizzato da “tattiche intimidatorie, associazione con l’intento deliberato di compiere attività criminali e capacità di condizionamento delle istituzioni pubbliche”. Si tratterebbe di un allineamento – come da proposta elettorale del Pd – all’articolo 416-bis del Codice Penale italiano che definisce le caratteristiche della fattispecie di reato di associazione di tipo mafioso: forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva.
Una nota positiva per il contrasto alle mafie sul suolo comunitario è stata l’entrata in vigore il 19 dicembre 2020 del regolamento Ue 2018/1805. Da oltre un anno e mezzo i provvedimenti di congelamento e confisca di beni mafiosi emessi dall’autorità giudiziaria di un Paese membro possono essere riconosciuti e applicati in tutti i Ventisette. In altre parole, in occasione di operazioni transfrontaliere per colpire le mafie, i diversi approcci normativi nazionali non possono costituire un ostacolo per la confisca dei beni che – come definisce la legge Rognoni-La Torre del 1982 – costituiscono “il prezzo, il prodotto, il profitto o che ne costituiscono l’impiego” di coloro che fanno parte dell’associazione mafiosa. Anche in questo caso, tuttavia, ciò che manca è una normativa antimafia armonizzata a livello Ue, come sottolineato dalla stessa risoluzione del Parlamento Ue del 2021: “Nonostante l’entrata in vigore del regolamento 2018/1805” la legislazione europea “è lacunosa” sul fronte delle possibilità fornite alle autorità di contrasto di “aggredire efficacemente i patrimoni ottenuti illecitamente, impedendo ai criminali di trarre profitto dai loro reati e di reintrodurre poi i proventi nell’economia legale”. Una spinta verso regole comuni in tutti i Paesi membri è arrivata indirettamente dalla guerra in Ucraina: a fine maggio la Commissione ha presentato una proposta di direttiva sul recupero e la confisca dei beni nel quadro generale del contrasto alla criminalità transfrontaliera, e delle violazioni degli oligarchi russi in particolare.
Un ultimo punto riguarda l’Agenzia europea antiriciclaggio (Amla), parte del pacchetto contro il riciclaggio di denaro presentato dalla Commissione nel giugno dello scorso anno e al vaglio del Consiglio. Secondo la proposta, l’Agenzia dovrebbe diventare dal 2024 l’autorità centrale di coordinamento e di supporto alle unità di informazione finanziaria per migliorare la capacità di analisi sui flussi illeciti. L’obiettivo è di superare la frammentazione amministrativa, normativa e operativa attraverso un unico sistema integrato di vigilanza, a partire dall’armonizzazione delle regole e delle procedure nei Paesi membri. Di qui la necessità di un Codice unico per la lotta contro il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo. Nella lotta antimafia l’Italia ha fornito negli anni una spinta decisiva anche a livello Ue e, proprio per questo motivo, il Partito Democratico spinge perché ne venga riconosciuto il merito: la designazione del Paese per la sede dell’Agenzia europea antiriciclaggio sarebbe un primo passo.