Bruxelles – Donne, bambini e malati, ma non uomini. Gli sbarchi selettivi messi in atto tra sabato e domenica (5-6 novembre) dal governo di Giorgia Meloni nel porto di Catania sulle navi Humanity 1 di SOS Humanity e Geo Barents di Medici Senza Frontiere (a cui si associa il quantomeno controverso appellativo di “carico residuale” per le persone ancora a bordo, come le ha chiamate il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, alla riunione del Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica della prefettura di Milano) potrebbero violare una serie di convenzioni internazionali firmate anche dall’Italia e del diritto sancito dai Trattati dell’Unione Europea in materia di accesso al territorio per i richiedenti asilo. Per questo la Commissione europea “monitora da vicino la situazione”.
Di fronte a una situazione sempre più drammatica per oltre mille persone migranti nelle acque del Mediterraneo, nella serata di venerdì (4 novembre) l’esecutivo ha dato il via libera a un decreto interministeriale sugli sbarchi selettivi. Dopo l’ingresso in acque territoriali italiane, le navi delle Ong devono sottoporsi a un’ispezione da parte delle autorità portuali, in cui viene deciso quali persone hanno i requisiti per lo sbarco e quali invece devono rimanere a bordo e lasciare nuovamente le acque italiane. Le ispezioni sono già state condotte sia sulla Humanity 1 sia sulla Geo Barents: al momento dalla prima sono sbarcate 144 persone migranti (su 179), dalla seconda 357 (su 572), mentre al largo della Sicilia ci sono altre due navi, la Ocean Viking di Sos Mediterranée (con 234 persone) e la Rise Above di Mission Lifeline (90, che saranno sbarcati nel porto di Reggio Calabria). Sulla base del decreto firmato dal ministro dell’Interno Piantedosi, da quello delle Infrastrutture, Matteo Salvini, e da quello della Difesa, Guido Crosetto, il governo Meloni non vuole autorizzare lo sbarco dei maschi adulti in buona salute, di fatto discriminandoli sulla base del sesso, dividendoli dai nuclei familiari e respingendoli fuori dal territorio nazionale prima che possano presentare una richiesta di protezione internazionale.
In un’intervista concessa a Repubblica, il capitano della nave Humanity 1, Joachim Ebeling, ha spiegato il suo rifiuto di ieri di lasciare il porto di Catania, come intimato dalle autorità nazionali: “Se adesso andassi via con i sopravvissuti violerei una serie infinita di leggi e convenzioni internazionali e qui al porto di Catania non sto facendo nulla di illegale”. Inoltre, “i naufraghi rimasti a bordo sono in uno stato depressivo e di apatia, siamo profondamente preoccupati per la loro salute mentale”, ha avvertito il comandante tedesco.
Da parte della Commissione Europea, la portavoce per la Migrazione, Anitta Hipper, ha ricordato nuovamente che “esistono doveri legali e morali nel salvare le vite in mare” e che “gli Stati membri devono rispettare gli obblighi del diritto internazionale, a prescindere dalla situazione specifica“. Nel punto quotidiano con la stampa europea di oggi (lunedì 7 novembre) la portavoce non ha voluto rispondere direttamente alla domanda se gli sbarchi selettivi rappresentino una violazione del diritto comunitario, ma ha precisato che Bruxelles sta “seguendo da vicino la situazione” e che “le agenzie Ue sono sul luogo e stanno fornendo supporto” operativo, anche se “la Commissione non è responsabile per il coordinamento, né del punto di sbarco”.
Quali principi violano gli sbarchi selettivi
Dal punto di vista del diritto internazionale, gli sbarchi selettivi rappresentano una violazione della Convenzione internazionale sulla ricerca ed il salvataggio marittimo (la cosiddetta Convenzione di Amburgo del 1979, ratificata dall’Italia ed entrata in vigore nel 1989), che prevede che gli sbarchi debbano avvenire nel primo “porto sicuro”, sia per prossimità geografica sia per rispetto dei diritti umani. Il “porto sicuro” è un luogo in cui si considerano terminate le operazioni di salvataggio, dove i sopravvissuti non si trovano più esposti a rischi per la loro vita e dove possono accedere a beni e servizi fondamentali, ma anche a tutte le procedure per poter presentare richiesta di asilo. A proposito del diritto di asilo, gli sbarchi selettivi intaccano anche il principio di non respingimento sancito all’articolo 78 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (Tfue): “L’Unione sviluppa una politica comune in materia di asilo, di protezione sussidiaria e di protezione temporanea, volta a offrire uno status appropriato a qualsiasi cittadino di un Paese terzo che necessita di protezione internazionale“.
L’accesso al territorio è sancito in primis dalla Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati, come messo in luce anche dall’alto commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr): “I Paesi non devono imporre sanzioni ai rifugiati per il loro ingresso e la loro presenza illegale sul territorio, a condizione che si presentino alle autorità e dimostrino una buona causa”, e devono inoltre “consentire un accesso senza ostacoli alle procedure di asilo“. Il documento si basa sui principi di non discriminazione, non penalizzazione e non respingimento delle persone migranti, tutto il contrario degli sbarchi selettivi operati dal gabinetto Meloni, a maggior ragione se si considera il fatto che la Convenzione si applica “senza discriminazioni di sesso, età, disabilità, sessualità o altri motivi di discriminazione vietati”.
Nel pomeriggio di oggi (7 novembre) sulla questione è intervenuta anche l’Onu. L’Unhcr e l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Iom), in una nota continuano a sollecitare i governi europei a “offrire rapidamente un luogo sicuro e consentire lo sbarco immediato di quasi 600 persone che rimangono su navi delle Ong“. Gli sforzi dell’Italia per lo sbarco di circa 400 persone, “i più vulnerabili a bordo di Humanity 1 e Geo Barents, compresi i bambini che viaggiano da soli e altri che necessitano di cure mediche urgenti, sono accolti favorevolmente”, affermano le due organizzazioni, ma “è urgente una soluzione per tutti i sopravvissuti rimasti, su tutte e quattro le navi in mare“. L’Unhcr e l’Iom ribadiscono che “il soccorso in mare è un imperativo umanitario, saldamente radicato nel diritto internazionale e nel diritto del mare” e che “l’obbligo di coordinare e rispondere ai segnali di pericolo spetta a tutti gli Stati interessati”.