dall’inviato a Strasburgo – Il Parlamento Ue temeva che la Commissione si sarebbe potuta mostrare arrendevole nei confronti dell’Ungheria nella sua valutazione dell’implementazione delle 17 misure proposte da Budapest per bloccare la proposta di inizio settembre sul congelamento dei 7,5 miliardi di euro in fondi di coesione. Tutto al contrario, il gabinetto guidato da Ursula von der Leyen sarebbe pronto a tirare dritto e a non concedere sconti a Viktor Orbán sul rispetto dello Stato di diritto.
Secondo le indiscrezioni di Politico la decisione della presidente von der Leyen sarebbe arrivata ieri (mercoledì 23 novembre), ma la portavoce della Commissione Ue, Dana Spinant, ha precisato che “il processo implica tutto il Collegio dei commissari, che dovrà prendere la decisione formale” sulla valutazione delle riforme in Ungheria e le nuove tappe del meccanismo di condizionalità sullo Stato di diritto: “Potrebbe arrivare già la settimana prossima“, ha anticipato la portavoce. I riflettori sono accesi sul 30 novembre, quando il gabinetto von der Leyen si riunirà e potrebbe deliberare contro Budapest. Il dossier approderà poi in Consiglio (alla riunione del 6 dicembre o in una successiva straordinaria), dove i 27 ministri delle Finanze dovranno decidere a maggioranza qualificata entro il 19 dicembre se accettare, modificare o respingere un’eventuale proposta di congelamento dei fondi di coesione dell’Ungheria previsti dal bilancio pluriennale Ue 2021-2027.
Ma a causa della corruzione ormai cronica e i processi di appalti pubblici non funzionanti – che mettono a rischio la corretta gestione e spesa del denaro dei contribuenti comunitari – anche i 5,8 miliardi di euro previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) dell’Ungheria sono in bilico. Stando a quanto riporta Politico, la Commissione sarebbe sì intenzionata a raccomandare al Consiglio di dare il via libera al Pnrr presentato lo scorso 12 maggio, ma a condizione che Budapest rispetti 27 specifici target sullo Stato di diritto. “Posso confermare che stiamo lavorando intensamente su entrambi i dossier”, ha puntualizzato la portavoce Spinant, senza fornire ulteriori indicazioni. Le 27 riforme includerebbero i 17 punti già previsti per bloccare il processo di congelamento dei fondi di coesione, più altre 10 sulla giustizia, l’indipendenza giudiziaria e le regole per la revisione contabile e la rendicontazione dei fondi Ue.
Nel frattempo al Parlamento Ue è stata approvata una risoluzione non legislativa (416 a favore, 124 contrari e 33 astenuti), con cui gli eurodeputati hanno invitato Commissione e Consiglio a non cedere alle pressioni che l’Ungheria esercita bloccando decisioni cruciali a livello Ue, “come sui 18 miliardi di euro di aiuto macrofinanziario all’Ucraina e l’accordo sull’imposta minima globale per le multinazionali”. Quello che viene definito un “abuso” della regola del voto all’unanimità “non dovrebbe avere alcun impatto” sul meccanismo di condizionalità dello Stato di diritto e sull’approvazione del Pnrr ungherese. Per quanto riguarda gli eurodeputati italiani, a votare contro sono state le delegazioni della Lega e di Fratelli d’Italia, con le uniche defezioni delle leghiste Anna Bonfrisco (a favore) e Gianna Gancia (astenuta), mentre Forza Italia ha votato a favore della risoluzione (fatta eccezione per Massimiliano Salini). “Il governo Meloni, finora silente sul tema, dovrà decidere se schierarsi dalla parte di Orbán o da quella di tutta l’Unione, che pretende il rispetto dei più elementari diritti fondamentali”, ha attaccato l’eurodeputata del Movimento 5 Stelle, Laura Ferrara.
L’iter di congelamento dei fondi dell’Ungheria
L’attivazione del meccanismo di condizionalità sullo Stato di diritto era iniziata lo scorso 27 aprile, con la notifica scritta della Commissione all’Ungheria, il primo passo della procedura che consente a Bruxelles di sospendere i pagamenti provenienti dal bilancio pluriennale a un Paese membro, quando le violazioni dello Stato di diritto hanno o rischiano di avere un impatto negativo sul bilancio europeo. L’attivazione del meccanismo è giustificata da “serie preoccupazioni” sull’uso dei fondi attraverso il quadro finanziario pluriennale 2021-2027, in particolare per quanto riguarda il public procurement (spesa pubblica destinata all’acquisto diretto di beni e servizi da parte della pubblica amministrazione), audit (valutazioni indipendenti di controllo delle spese), trasparenza, prevenzione delle frodi e corruzione.
Nonostante l’impegno di Budapest con 17 misure nel corso dell’estate, il gabinetto von der Leyen ha rilevato che “diverse questioni richiedono ancora più tempo e impegno” e che “non è possibile concludere che il budget comunitario sia protetto adeguatamente”. Per questo motivo lo scorso 18 settembre la Commissione ha proposto di sospendere il 65 per cento dei fondi che Budapest avrebbe dovuto ricevere attraverso la politica di coesione dell’Unione, pari a 7,5 miliardi di euro. I programmi operativi della politica di coesione interessati dalle misure sono tre e dovrebbero essere finanziati dal Fondo europeo di sviluppo regionale (Fesr), dal Fondo di coesione, dal Fondo per la transizione giusta (Jtf) e dal Fondo sociale europeo Plus (Fse+): ‘Ambiente ed efficienza energetica Plus’, ‘Trasporto integrato Plus’, e ‘Sviluppo territoriale e degli insediamenti Plus’. In aggiunta, è previsto anche il divieto di assumere nuovi impegni giuridici con i trust di interesse pubblico e con le entità da essi gestite nell’ambito di qualsiasi programma dell’Unione in gestione diretta e indiretta.
Inizialmente Orbán ha provato a tastare il terreno per creare un blocco di Paesi contrari all’interno del Consiglio, ma – dopo aver capito non avere i numeri per andare allo scontro – ha deciso di percorrere la strada dell’allineamento alle richieste di Bruxelles sull’attuazione delle 17 misure correttive, da presentare entro il 19 novembre all’esecutivo comunitario. Implementazione che è stata discussa tra metà settembre e metà novembre, grazie alla proroga di due mesi concessa dal Consiglio (inizialmente era prevista per il 19 ottobre): l’Ungheria ha ancora meno di un mese di tempo per fare significativi passi avanti sulle riforme sullo Stato di diritto, prima della decisione definitiva dei 27 ministri Ue. Di fronte agli eurodeputati preoccupati alla sessione plenaria del Parlamento Ue di Strasburgo, lunedì (21 novembre) il commissario per la Giustizia, Didier Reynders, aveva confermato che l’esecutivo comunitario stava “analizzando attentamente, anche con i disegni di legge disponibili” la messa a terra delle riforme in Ungheria e che la valutazione sarebbe stata ultimata entro fine mese, perché possa confluire nell’iter decisionale del Consiglio dell’Ue. La decisione dei 27 ministri sarà presa a maggioranza qualificata, vale a dire il 55 per cento dei Paesi membri (15 su 27), che rappresentino il 65 per cento della popolazione dell’Ue.
Quella in corso è una procedura amministrativa, non penale, e questo significa che non ha effetti legali né può essere impugnata. Nel novembre dello scorso anno erano state inviate due lettere a Budapest e a Varsavia (sulla Polonia la Commissione deve ancora esprimersi) con una richiesta di spiegazioni sulle violazioni dello Stato di diritto in atto. In risposta, i due Paesi membri si erano rivolti alla Corte di Giustizia dell’Ue, ma il 16 febbraio i loro ricorsi sono stati respinti: i giudici europei hanno sottolineato che il meccanismo è stato adottato “sul fondamento di una base giuridica adeguata”, che rispetta “i limiti delle competenze attribuite all’Unione e il principio della certezza del diritto” e che è compatibile con la procedura prevista all’articolo 7 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea. In altre parole, si tratta di un meccanismo parallelo e non in contrasto con la possibilità di sospendere i diritti di adesione all’Ue in caso di violazione “grave e persistente” da parte di un Paese membro dei principi fondanti dell’Unione.