L’Unione Europea e l’Italia, un equilibrio fondamentale ma complesso, che si evolve con il tempo e dimostra come la ripartenza dell’una sia fortemente legata alla ripartenza dell’altra. Ne abbiamo parlato con Lorenzo Robustelli, direttore di EuNews (www.eunews.it) ed esperto di scenari europei ed internazionali.
Intervista condotta da Ramiro Baldacci
Grazie per la sua disponibilità. Partiamo subito dal ruolo che riveste oggi l’Europa rispetto all’Italia. Si è passati da un ruolo determinante nella gestione della pandemia ad un ruolo più ambiguo e meno incisivo durante la crisi energetica in seguito alla guerra in Ucraina. Come stanno realmente le cose?
Grazie a voi per l’opportunità. La questione è che la pandemia, tutto sommato, è stata una questione più facile da gestire. Si è rapidamente capito che tutti gli Stati erano in condizioni simili, esposti agli stessi rischi, e tutti realmente disarmati per combattere il virus. Un ruolo attivo della Commissione, che è riuscita sostanzialmente a centralizzare gli interventi, procurando vaccini e regole di vita, è stato rapidamente accettato. Sulla questione energia il problema era in realtà nato prima della guerra della Russia in Ucraina, già nell’ultimo trimestre del 2021 i prezzi si erano impennati.
La guerra ha poi decisamente peggiorato la situazione. E qui, però, gli Stati hanno situazioni molto diverse, su approvvigionamenti e necessità delle industrie e delle famiglie. Per cui il ruolo attivo che la Commissione, anche su spinta dell’allora premier italiano Mario Draghi, ha tentato di assumere è andato verso un sostanziale fallimento, con gli Stati che in realtà hanno preso il controllo della situazione, ma senza riuscire a risolverla radicalmente, almeno fino ad ora. Molti passi sono stati fatti per diversificare le fonti, ma gli interessi, come accennavo, sono diversi e questo ha portato da una parte ad una campagna comunicativa che ha tentato di scaricare sulla Commissione la responsabilità di una inazione, che è invece frutto del mancato accordo tra i governi.
Si è parlato spesso della necessità di riformare l’Unione Europea, quasi fosse una nuova ripartenza. C’è davvero questa necessità e nel caso in quale direzione dovrebbe muoversi questa riforma?
Come ogni macchina complessa anche l’Unione ha necessità di frequenti messe a punto. Ed è comunque corretto, su un piano politico e istituzionale, porsi costantemente la questione di cosa è possibile migliorare. Passano gli anni, le situazioni mutano, i Paesi membri o candidati aumentano (nonostante l’abbandono del Regno Unito) e dunque è giusto porsi la questione delle riforme. A mio giudizio un problema centrale è sul piano decisionale, nel senso che spesso l’Ue non riesce a decidere, o decide, diciamo, al ribasso.
Credo che il Parlamento dovrebbe avere un ruolo maggiore, con un potere di iniziativa legislativa. Inoltre, e questo è sul tavolo da tempo, va rivisto il principio dell’unanimità che vige in troppe decisioni del Consiglio. Probabilmente si dovrebbe, su questo fronte, spingere sull’integrazione differenziata: se un gruppo di Paesi vuole un progetto, come è stato ad esempio per l’euro, o per Schengen, parta, in maniera non escludente, e gli altri che vorranno o potranno seguiranno. Certo, ci vogliono regole, ma può essere una via per marciare in avanti.
In Italia, con un governo di centrodestra dopo dieci anni, si è annunciata anche la necessità di rilanciare il peso della nostra presenza all’interno dell’Unione Europea. Ritiene sia una strada percorribile?
Un’Italia più propositiva sarebbe solo la benvenuta nell’Unione europea. Certo, bisogna costruirsi un patrimonio di credibilità che probabilmente è mancato nella storia italiana, non si può partire dicendo “voglio questo” se prima non si sono onorati i propri impegni, se non si è affidabili. E’ giusto voler affermare le proprie priorità, e penso in questo momento alla battaglia comune italiana contro il Nutriscore, per dirne una, ma va fatto dimostrando di essere dei partner affidabili e leali, e sapendo che per ogni cosa conquistata ci sarà un prezzo da pagare su un’altra, è la regola del vivere in comunità. Su qualcosa, come ha affermato il ministro Raffaele Fitto chiudendo l’ultima edizione del nostro evento annuale “How Can We Govern Europe?” si potrà ottenere quel che si desidera, su qualcos’altro meno, e magari si potrà perdere, nell’interesse comune, su un terzo dossier. Bisogna avere priorità, considerare l’interesse comune, mostrarsi credibili.
C’è poi la questione del peso dell’Unione Europea all’interno dello scenario internazionale, che forse ci vede indietro rispetto alle altre super-potenze…
L’Unione non è uno Stato sovrano, per gli Usa, o la Cina, certe scelte sono più facili da compiere e perseguire. Non siamo una potenza militare, restiamo però il mercato più grande del Mondo, e su questo dobbiamo insistere. Una politica estera comune non c’è, e sarà difficile costruirla, ma il nostro peso possiamo metterlo nel piatto sfruttando, oltre che la forza delle idee, quando ci sono, anche la leva commerciale. Comunque l’Ue siede al tavolo del G7 come tale, ed anche se non si è mai scelto di fare una politica di potenza, quando è unita, l’Unione un suo peso ce l’ha. Certo, se si decidesse di avere una politica estera comune tutto sarebbe più semplice!
Volendo indicare una cosa che funziona e una che non funziona nell’Unione Europea, cosa sceglierebbe?
Funziona che, ancora, dopo tanti anni, ancora si è scelto di condividere un destino. E’ un percorso accidentato, ma, sempre a parte la defezione del Regno Unito (sulla quale a Londra tanti stanno iniziando ad avere dei ripensamenti) è un percorso sul quale si continua a camminare, nonostante sfide durissime. Quel che non funziona è che i cittadini, tutto sommato, si sentono poco coinvolti, vedono l’Unione come un’entità esterna a loro, alla loro vita. Dalla recente Conferenza sul Futuro dell’Europa è uscito questo, la domanda di una maggiore partecipazione, e su questo dobbiamo riflettere e trovare soluzioni.
Si è concluso da poco l’evento “How Can We Govern Europe?” che avete organizzato per fare il punto sulle nuove sfide europee. Quali sono le principali direttrici emerse?
E’ stata la nona edizione, ed anche questa volta un po’ da tutti, ministri, parlamentari, aziende, associazioni, mondo della ricerca, cittadini, è uscita proprio la cosa che ho appena detto: che l’Italia deve avere una partecipazione più consapevole al lavoro dell’Unione, perché questa è l’unica via per non trovarsi poi in difficoltà in seguito a scelte alla cui elaborazione si è partecipato distrattamente, o difendendo interessi di parte che non funzionano poi nel quadro comune.
Angela Merkel, sulle cui scelte ho molte riserve, era però famosa perché ai Consigli europei sapeva tutto, era documentata su ogni dettaglio, era in grado di intervenire su qualunque aspetto fosse in discussone, spesso inchiodando i suoi colleghi alla sedia perché di ogni proposta scandagliava ogni aspetto. Lo faceva per difendere gli interessi della Germania, e quindi di ogni questione vedeva le ricadute anche a lunga scadenza, ma senza dimenticare che stava giocando una partita di squadra.
Cominciano a delinearsi all’orizzonte le prossime Politiche Europee. I cittadini italiani sono secondo lei consapevoli dell’importanza di questo momento?
No, non credo lo siano, ed infatti uno dei grandi temi sui quali lavora l’attuale Parlamento, come fece anche quello della legislatura precedente, è lavorare ad un maggior coinvolgimento degli elettori. Forse sì, alcuni momenti sono più importanti di altri, è però vero che la storia la si costruisce ogni giorno, e quella europea è la nostra storia. Dunque ben vengano iniziative tese ad informare e coinvolgere i cittadini. Ma che siano iniziative in chiave europea, non si va a votare solo per eleggere i propri rappresentanti con l’occhio alla politica nazionale, si vota per concorrere a comporre un’assemblea che decide su un quadro più ampio, che è, di fatto, anche più importante delle nostre Assemblee nazionali, visto che è stato calcolato che il 75-80 per cento delle legislazioni nazionali sono adottate in un quadro di norme europee.
E la nostra politica sarà in grado di cogliere le nuove sfide che ci aspettano a livello europeo?
La nostra politica sa bene quali sono le sfide, il problema è concentrarsi su quelle e non su immediati tornaconti nazionali. Bisogna scegliere di guardare lontano, e questo per molta politica, in questi anni non solo italiana, sembra essere la cosa più difficile.