Bruxelles – Penetrazione straniera nel mercato unico, un fenomeno che l’Unione europea non ha mai scoraggiato. Anzi. In ragione di benessere e crescita il blocco a dodici stelle ha tenuto e mantenuto un approccio aperto, e la presenza cinese nei porti chiave dell’Ue ne è una diretta conseguenza. Quest’ultima situazione non è peraltro un qualcosa di nuovo. Già nel 2016 l’allora europarlamentare del Pd ed ora deputata nazionale e responsabile degli Affari europei per Azione Isabella De Monte aveva posto la questione in un’interrogazione parlamentare. Qui si richiamava l’attenzione sull’investimento che China Ocean Shipping (Cosco) ha effettuato a partire dal 2009, conclusosi con la
privatizzazione del porto del Pireo, “il più importante ma non unico segno della presenza cinese nei porti dell’Ue”. De Monte avvertiva che “le sempre maggiori acquisizioni nei porti mediterranei rivestono un ruolo strategico per Pechino e avranno ripercussioni a livello economico e geopolitico in tutta Europa”.
La risposta offerta dall’allora commissaria per il Commercio, Cecilia Malmstroem, fu perentoria: “In tema di investimenti esteri l’Ue ha una politica aperta e accoglie con favore gli investimenti diretti esteri provenienti da tutte le fonti, in virtù dei benefici che questi apportano all’Unione in termini di posti di lavoro e crescita economica”.
Se oggi l’Unione europea registra una forte presenza cinese nei suoi porti, lo deve anche a quelli che sono i limiti del progetto comune. “La Commissione non può esprimersi o intervenire riguardo alla decisione dei singoli Stati membri in merito all’alienazione o alla concessione dei loro beni nella maniera da loro ritenuta più appropriata”. Su questo Malmstroem volle essere chiara, ricordando fino a che punto le competenze dell’esecutivo comunitario.
C’è di più. Solo dall’11 ottobre 2020 l’Unione europea si è dotata di un meccanismo europeo per analizzare gli investimenti stranieri diretti. Il regolamento in materia è stato approvato solo a marzo 2019, quando divenne ormai chiaro che era tempo di rimettere mano al mercato unico. “Le società con sede nell’Ue controllate da investitori di paesi terzi sono ancora un numero limitato, ma hanno un impatto economico significativo”. Un qualcosa su cui ci si è attivati, ma probabilmente troppo tardi.