Bruxelles – L’ennesimo naufragio, l’ennesima tragedia, l’ennesimo rimpallo di responsabilità. Sono 30 i dispersi del naufragio di ieri mattina (12 marzo) a circa 200 chilometri dalle coste della Libia, in cui un barcone si è rovesciato nella zona Sar (Search and Rescue) di competenza libica nel Mar Mediterraneo dopo i decisivi ritardi nelle operazioni di ricerca e soccorso da parte di tutte le autorità che sarebbero potute intervenire. La segnalazione di Alarm Phone era stata lanciata alle ore 2:28 del giorno prima, l’11 marzo.
A sole due settimane dal naufragio di Cutro, l’ennesima tragedia mette con le spalle al muro non solo la Libia, ma soprattutto l’Unione Europea e i suoi Stati membri. Tutte e 47 le persone che si trovavano sull’imbarcazione potevano essere salvate con un minimo coordinamento – a maggior ragione se si considera che si trovava in acque internazionali – come ha messo in chiaro lo stesso servizio che fornisce assistenza alle persone migranti nel Mediterraneo: “Le cosiddette autorità libiche hanno informato Alarm Phone che inizialmente avrebbero inviato una nave, ma un seguito hanno dichiarato di non essere disponibili a intervenire per mancanza di mezzi e che l’Italia stava coordinando l’evento di ricerca e salvataggio”. Ma allo stesso tempo è durissimo l’attacco alla Guardia Costiera italiana: “Le autorità italiane stavano cercando di evitare che le persone fossero portate in Italia, ritardando l’intervento in modo che la cosiddetta guardia costiera libica arrivasse e riportasse con la forza le persone in Libia, nelle condizioni di tortura da cui avevano cercato di fuggire”.
Secondo quanto si apprende dall’Ong Sea Watch, poco dopo la segnalazione di Alarm Phone anche l’aereo Seabird 2 ha inviato chiamate di soccorso al mercantile Basilis L e alle autorità libiche e maltesi, riferendo di avere difficoltà a soccorrere l’imbarcazione per le condizioni meteo avverse. La Guardia Costiera italiana ha invece precisato che le autorità libiche competenti per le attività di ricerca e soccorso hanno chiesto il supporto del Centro Nazionale di coordinamento del soccorso marittimo italiano, che ha indicato a tre mercantili presenti in zona di dirigersi verso il barcone. Nella stessa nota viene anche spiegato che il naufragio è avvenuto domenica mattina durante le operazioni di soccorso da parte della motonave Froland – più di 24 ore dopo la segnalazione di Alarm Phone – mentre solo 17 persone sono state portate in salvo su un mercantile diretto verso Pozzallo.
Libia, Italia. Chi doveva coordinare i soccorsi e gli imbarazzi Ue
La Guardia Costiera ha voluto anche precisare nella nota che l’intervento di soccorso è avvenuto “al di fuori dell’area di responsabilità Sar italiana”, a causa della “inattività degli altri Centri Nazionali di coordinamento e soccorso marittimo interessati”. Una dichiarazione di per sé vera, che non solleva però le autorità di Roma dalla responsabilità per i ritardi nelle operazioni di salvataggio. Le attività di soccorso in mare nel Mediterraneo Centrale sono regolate dalla Convenzione internazionale sulla ricerca e il salvataggio marittimo di Amburgo del 1979: “Lo Stato responsabile di un’area Sar, in caso di emergenza in mare nella propria area di responsabilità, ha l’obbligo di intervenire assumendo, per il tramite del proprio Rescue Coordination Center”. Tuttavia, “qualora lo Stato competente per quella area Sar non assuma il coordinamento delle operazioni di soccorso, tali operazioni vengono coordinate dall’Autorità nazionale Sar che, per prima, ne ha avuto notizia ed è in grado di fornire la migliore assistenza possibile”. Esattamente il caso dell’11 marzo al largo delle coste libiche.
A questo punto si sollevano due questioni fondamentali, che vedono anche l’Ue coinvolta nelle polemiche a causa di dichiarazioni dei portavoce della Commissione poco cristalline. La prima riguarda l’area di competenza delle operazioni. L’operazione Eunavfor Med Irini “ha come compito primario quello di vigilare sull’applicazione dell’embargo Ue sulle armi alla Libia, anche se può condurre operazioni di ricerca e soccorso, ma non può operare nelle acque della Libia, le operazioni di ricerca e soccorso nelle acque territoriali libiche sono autorizzate solo per le imbarcazioni libiche“, ha sottolineato con forza il portavoce del Servizio Europeo per l’azione esterna (Seae), Peter Stano, in un punto con la stampa di Bruxelles. L’imbarcazione però non si trovava in acque territoriali libiche, ma nell’area Sar di responsabilità della Libia, che comunque sono acque internazionali dove le navi impegnate nell’operazione Irini possono intervenire. A questo si aggiunge un’altra imprecisione di Stano: “Le navi di Irini pattugliano un’area determinata dall’accordo dagli Stati membri e questa area non è la rotta principale dei migranti”. Il naufragio è avvenuto a tutti gli effetti all’interno dell’area di operazioni di Eunavformed, con le navi militari che hanno ricevuto il messaggio di allarme diffuso dal centro di controllo di Roma, ma non si sono mosse.
La seconda questione particolarmente imbarazzante per Bruxelles è quanto affermato in relazione alla Libia. “Una parte del sostegno fondamentale dell’Ue alla Libia è cercare di stabilizzare la situazione e potenziare le loro capacità di gestione delle frontiere, perché vediamo che non sempre hanno i mezzi”, ha aggiunto la portavoce della Commissione Ue responsabile per la Politica di vicinato, Ana Pisonero, annunciando che “arriveranno altre imbarcazioni” per la Guardia Costiera libica. Ma solo un mese fa l’Italia ha consegnato una motovedetta a Tripoli nell’ambito del programma Support to integrated border and migration management in Lybia (Sibmmil) della Commissione Ue, oltre ad altre “sei imbarcazioni riabilitate”. Oltre al fatto che la Guardia Costiera libica non è intervenuta nella sua area Sar di competenza – nonostante abbia mezzi a disposizione finanziati dai contribuenti europei – la Libia non ha nemmeno sottoscritto la Convenzione sullo status del rifugiati del 1951, non conduce operazioni di soccorso in mare ed è responsabile di “sistemiche violazioni dei diritti umani”, come ha ricordato in un’intervista a Eunews il relatore per la raccomandazione del Parlamento Ue, Giuliano Pisapia (S&D).