Bruxelles – Mes o non Mes? Giorgia Meloni dice ancora ‘no’ alla ratifica della riforma del Meccanismo europeo di stabilità (Mes o Esm, nella dicitura inglese), che l’Italia è rimasto l’unico Paese Ue a non aver ratificato, bloccando il via libera a un accordo politico raggiunto ormai più di due anni fa ma su cui chiede correttivi. Il tema è stato sollevato durante il Question Time alla Camera dal deputato Luigi Marattin di Italia viva, chiedendo conto al governo sui tempi per il via libera al trattato già approvato da tutti gli altri Stati europei. Meloni torna a esprimere i suoi dubbi su uno strumento che “ha esercitato la sua funzione pochissime volte” e a cui l’Italia “finché ci sarà un governo guidato dalla sottoscritta” non accederà. Per Meloni il Mes non è uno strumento valido perché frutto di una “linea di austerità” su cui “molti si sono dovuti ricredere”. Dunque “sarebbe sensato interrogarsi sullo strumento” e l’Italia vuole “discutere della governance europea e della possibilità che le risorse destinate al salva-Stati possano essere davvero utili agli Stati che aderiscono”, ha detto la premier.
Il Mes è un’organizzazione intergovernativa istituita dagli Stati membri dell’area dell’Eurozona nel 2012, pensato per superare le crisi finanziarie fornendo prestiti e altri tipi di assistenza finanziaria agli Stati membri che stanno attraversando o sono minacciati da gravi difficoltà finanziarie. In altre parole, il Mes funge da “prestatore di ultima istanza” per i paesi dell’area dell’euro quando non sono in grado di rifinanziare il proprio debito pubblico sui mercati finanziari a tassi sostenibili. Per Meloni la ratifica della riforma necessità però di ulteriore approfondimento. “A novembre scorso il Parlamento ha dato un mandato a non ratificare la riforma e a non aprire il dibattito in assenza di un quadro chiaro in materia di governance, di patto stabilità e in materia bancaria”, ha osservato ancora.
Il Question Time di Meloni a Montecitorio è anche l’occasione per bocciare su tutta la linea (di nuovo) buona parte dei dossier energetici e ambientali su cui si sta negoziando a Bruxelles, dallo stop europeo alla vendita delle auto a benzina e diesel dal 2035 alla futura direttiva sulle case green su cui ieri l’Eurocamera ha espresso il suo parere. Su entrambi i dossier l’Italia ha sostenuto la posizione in sede di Consiglio, ma ora continua a minacciare di voler dare battaglia a livello comunitario. Sulle case i tempi che la proposta di direttiva impone “non sono raggiungibili dall’Italia”, sottolinea la leader di Fdi. “Il patrimonio immobilitare del nostro Paese è inserito infatti in un contesto molto diverso dagli altri Stati membri per ragioni storiche, di conformazione geografica, “oltre che per una praticata visione della casa come bene-rifugio delle famiglie”, ha detto, senza precisare però che al momento non c’è stato alcun accordo a livello comunitario sulla direttiva e sui target di efficienza, per cui è difficile parlare di numeri precisi.
L’altro dossier ‘caldo’ a cui l’Italia si oppone è quello per la fine della vendita dei motori a combustione interna dal 2035, su cui ha posto il veto in seno al Consiglio Ue. “L’Italia condivide gli obiettivi della transizione verde e digitale per consegnare alle future generazioni un modello di sviluppo sostenibile. Ma la transizione presuppone un percorso che va fatto con gradualità e realismo. No si può acriticamente assecondare un processo che sull’altare della decarbonizzazione ci conduce dritti alla deindustrializzazione”.
In diretta dalla Camera dei Deputati per il Question Time. Collegatevi. https://t.co/OnWk0IciQg
— Giorgia Meloni (@GiorgiaMeloni) March 15, 2023