Bruxelles – La premier Giorgia Meloni forse è stata mal informata. Lo scorso 15 aprile, durante la sua visita ufficiale in Etiopia, la presidente del Consiglio ha motivato la volontà del suo governo di abolire lo status di protezione speciale per le persone migranti perché è una “protezione ulteriore rispetto a quello che accade nel resto d’Europa”. Ma protezioni speciali o umanitarie sono previste da 19 Paesi membri, più di due terzi degli Stati Ue.
Non è solo l’Italia a garantire, oltre all’asilo politico e alla protezione sussidiaria, una forma complementare di protezione nazionale ai richiedenti asilo. Declinata in maniera diversa a seconda dei Paesi, la protezione “per motivi umanitari” è una realtà consolidata: secondo uno studio condotto dalla Rete europea sulle Migrazioni, sarebbero addirittura 60 le forme di protezione nazionale, complementari a quelle armonizzate sul territorio Ue, presenti nei Paesi membri. Legami familiari, condizioni di salute, disastri naturali e cambiamenti climatici, percorsi di integrazione avviati nei territori, violenze domestiche: oltre alle protezioni nazionali basate su motivi umanitari “generici”, ne esistono per ragioni specifiche.
Basta uno sguardo ai dati pubblicati da Eurostat per il 2022 per accorgersi inoltre che non è Roma a concedere la maggior parte dei permessi di soggiorno a persone che non rientrano nei requisiti necessari a ottenere l’asilo politico o la protezione sussidiaria: tra gli 11 Paesi che hanno fatto ricorso a forme nazionali, in Germania sono state concessi più di 3o mila protezioni complementari, circa il 25 per cento del totale dei permessi rilasciati, in Spagna più di 20 mila.
L’Italia l’anno scorso ha concesso 10,865 protezioni speciali, su un totale di 25,680 richieste accordate: il dato è perfettamente allineato con la media europea, 4 su 10 permessi totali. Oltre a Germania e Spagna, anche Irlanda, Svizzera e Liechtenstein l’hanno utilizzata, in percentuale, più dell’Italia. In Germania la protezione umanitaria è riconosciuta per motivi che si allineano a quelli italiani: necessità di cure mediche, conclusione diel percorso di formazione scolastica o professionale, supporto a vittime di tratta o di sfruttamento lavorativo.
La protezione speciale in Italia
La protezione speciale prevista dal nostro ordinamento dal 2020 può essere assegnata a una persona migrante se ci sono “fondati motivi di ritenere che l’allontanamento dal territorio nazionale comporti una violazione del diritto al rispetto della sua vita privata e familiare”. In precedenza esisteva una norma simile, con il nome di “protezione umanitaria”, che nel 2018 era stata abolita con i “decreti sicurezza” fortemente voluti da Matteo Salvini, allora ministro dell’Interno nel governo giallo-verde. Durante il secondo governo Conte, la ministra Luciana Lamorgese l’aveva poi ripristinata, con il nuove nome di “protezione speciale” e alcune modifiche. Il decreto “Cutro” che ne prevede l’eliminazione è al momento all’esame del Senato, da dove ripasserà alla Camera dei Deputati per la definitiva conversione in legge.
Insomma, l’Italia non è l’unico Paese a prevedere una forma di protezione complementare per i richiedenti asilo e la cosa è nota anche a livello parlamentare: nel 2018, prima dell’abolizione della “protezione umanitaria” da parte del governo Lega-M5S, la Camera aveva compilato un dossier dettagliato dove confrontava con chiarezza i modelli di permessi di soggiorno concessi dai Paesi europei per motivi umanitari.
La mossa di Meloni ha scatenato le proteste e l’indignazione dei sindaci di centro-sinistra e del mondo delle ong. I primi cittadini di Milano, Torino, Bologna, Firenze, Roma e Napoli hanno scritto una lettera alla premier in cui si definiscono “molto preoccupati per le proposte relative alle modifiche all’unico sistema di accoglienza migranti effettivamente pubblico, strutturato, non emergenziale che abbiamo in Italia”: il rischio è che l’eliminazione della protezione non faccia altro che creare migliaia di nuovi irregolari sul territorio, con un effetto a cascata sui diritti di queste persone, sulla sicurezza e sul lavoro nero. Secondo Human Rights Watch, nel periodo di vuoto legislativo prima della reintroduzione della protezione speciale (2018-2020), almeno 37 mila persone si sono ritrovate prive di documenti.
Chiara la denuncia del Coordinamento Italiano delle ong Internazionali (Cini), convinta che l’abolizione della misura di protezione speciale farà rientrare l’Italia “nel novero delle nazione meno democratiche e rispettose delle convenzione internazionali in materia di migrazione”.