Manca circa un anno e mezzo al rinnovo completo dei vertici dell’Unione europea. A giugno 2024 avremo il nuovo Parlamento, poi tra novembre e dicembre arriveranno la nuova Commissione ed il nuovo presidente del Consiglio europeo. Si spera che queste ultime caselle possano definirsi già qualche tempo prima, ma non sarebbe la prima volta che, invece, i tempi si allunghino.
Sarà dunque un periodo un po’ atipico, con Commissione, Consiglio e Parlamento che tenteranno di portare a termine i provvedimenti più importanti rimasti sul tavolo e, come si dice, “svuoteranno i cassetti” delle cose minori che però si vorrebbero vedere concluse.
Non voglio fare qui l’elenco dei provvedimenti che mancano all’appello, vorrei piuttosto lanciare un grido di allarme perché questo periodo non diventi, invece che una messe di processi fondamentali portati a termine, mesi di scontri che rischiano di mandare all’aria un complesso lavoro iniziato da questa Commissione con grande tempestività, immediatamente dopo il suo insediamento nel 2019. Non sono d’accordo con tutte le iniziative prese, ma non è questo il punto. Il punto è che nel panorama europeo (intendo dei Paesi dell’Unione europea) sembra che solo la Commissione e forse uno sparuto gruppo di governi, riesca a pensare fuori dalla scatola del populismo, o del conservatorismo economico e politico, chiavi che in questo momento di grande trasformazione globale (decisamente accelerata dalla guerra della Russia in Ucraina, ma di fatto contro l’Unione tutta) possono chiudere le porte che invece è necessario tenere spalancate per far entrare l’Unione nel grande e nuovo palcoscenico mondiale con un ruolo che non sia da comparsa.
Ad esempio, accettata, come tutti ripetono di aver fatto, la necessità di un Green deal, il cui cuore non è solo la difesa del Pianeta, ma è anche quello di dare all’Unione un ruolo di guida nella trasformazione economica che è indispensabile, dopo quattro anni di lavoro è semplicemente da irresponsabili metterlo in difficoltà, rallentando anche l’attività del Parlamento, per meri calcoli che vanno al di là di scelte politiche ma che sono invece schermaglie di potere personale in qualche gruppo. E’ un po’ quello che è successo nella Gran Bretagna della Brexit, dove un partito nato sul populismo (e che è poi morto il giorno della Brexit) ha offerto il terreno politico ad un gruppo di leader del partito Conservatore per regolare battaglie interne nascoste sotto la bandiera dell’abbandono dell’Unione europea. I tories brexiters hanno vinto la loro battaglia, sono rimasti al potere qualche anno con un partito dilaniato, hanno cambiato una quantità di premier mai vista prima in così poco tempo, e vorrei vedere se c’è chi veramente creda che questi anni di politiche di puro potere hanno fatto del bene alla Gran Bretagna.
Da noi stiamo assistendo ad un rancoroso, sconfitto ripetutamente nelle sue ambizioni, capo del Partito popolare che ha deciso di cavalcare l’ondata populista che purtroppo ancora attraversa l’Europa e ne controlla sempre più governi, per regolare sue questioni interne, tentando di trovare accordi con chi questa ondata rappresenta in Parlamento. Vediamo un leader popolare tedesco che sta cercando di minare la ricandidatura di una popolare tedesca alla guida della Commissione, quando il patto di governo in Germania prevede che se c’è un candidato tedesco, chiunque esso o essa sia lo si dovrà sostenere. E in questo caso la candidata pronta è quella scelta nel 2019 dal partito ora all’opposizione, che è la Cdu/Csu, i popolari tedeschi. Che dunque, in teoria, dovrebbero essere ben contenti di potarla confermare.
Bisognerà vedere come andranno le elezioni del Parlamento e qualche elezione nazionale nei prossimi mesi, ma possiamo affermare tranquillamente che per Ursula von der Leyen al momento ci sono tutte le condizioni per essere un’ottima candidata a succedere a se stessa. Poi magari cambia tutto e i socialisti, o i liberali, o i verdi stravincono ogni consultazione futura e il quadro potrebbe cambiare, è ovvio. Ma minare oggi la tua candidata che è anche la candidata più forte esprime disprezzo per l’Unione, e una visione corta delle necessità di trasformazione e irrobustimento.
E lo vuol dire anche perché costringe quella che sarebbe una candidata naturale, tutto sommato non sgradita anche ad altre forze politiche, a scelte di avvicinamento, di tolleranza, verso governi che potrebbero essere decisivi per il suo rinnovo, che non è detto siano le scelte poi migliori per il bene dell’Unione. Siamo donne e siamo uomini, è legittimo aspirare ad un posto che ci interessa, anche se spesso si deve pagare un prezzo.
Mi son trovato a parlare di questa contingenza creata dal Ppe, perché esiste e caratterizza questa fase, il senso più generale è che in questi anni (quasi) l’unica istituzione nell’Unione che guarda, per sua natura, più avanti del tornaconto quotidiano è la Commissione, forse più ancora del Parlamento. Sono due beni preziosi, che non sempre hanno funzionato e non sempre funzioneranno (anche se hanno dimostrato, nelle emergenze, di riuscire ad avere un ruolo di guida e coordinamento) ma che in buona parte possono sostituire l’immobilismo, o addirittura il freno dei governi. Dobbiamo proteggerli, non possono cadere queste ultime “torrette di avvistamento” di quel che succederà nel mondo.