Bruxelles – “Non avremo alcun tipo di sicurezza fino a che non affronteremo la crisi climatica”. Suonano come un manifesto le parole pronunciate dall’inviato speciale degli Stati Uniti per il clima, John Kerry, alla tavola rotonda organizzata dal German Marshall Fund a Bruxelles. L’inviato della Casa Bianca, il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il vicepresidente esecutivo della Commissione Ue per il Green Deal, Frans Timmermans, si sono incontrati oggi (21 giugno) per discutere degli impatti devastanti del cambiamento climatico sulla pace e sulla sicurezza.
La fotografia scattata da Borrell è inequivocabile: “Se prendiamo i 20 Paesi più vulnerabili al cambiamento climatico nel mondo, 13 di loro hanno vissuto dei conflitti negli ultimi cinque anni”. La crisi climatica funge da “moltiplicatore di crisi”, una minaccia esistenziale per il pianeta con implicazioni negative immediate, dirette e crescenti per la sicurezza e la difesa. Nell’Artico come nel Sahel, il cambiamento climatico è un detonatore di ulteriori crisi: fattore di instabilità geopolitica all’estremo nord, dove lo scioglimento del permafrost “sposta le frontiere geopolitiche”, generando nuove rotte navigabili e nuove risorse sulle quali “Cina, Russia e India stanno già giocando un ruolo crescente”, spinta costante alla migrazione nel continente africano, da cui “decine di milioni di persone che non possono letteralmente sopravvivere” si muoveranno in cerca di condizioni migliori.
Ecco perché, sulla base del piano d’azione per la sicurezza e il cambiamento climatico della Nato e dell’imminente comunicazione congiunta dell’Ue – prevista per fine mese- sull’impatto dei cambiamenti climatici e del degrado ambientale sulla pace, la sicurezza e la difesa, l’Unione Europea e l’Alleanza atlantica “esploreranno le possibilità di intensificare il dialogo” sulle conseguenze dell’inazione climatica sulla sicurezza globale. Prima di tutto, occorre guardare nel proprio giardino, rimboccarsi le maniche e lavorare. Bruxelles sta imboccando, non senza difficoltà, il sentiero del Green Deal con l’obiettivo della neutralità climatica entro il 2050: “Se saremo capaci di mostrare ai cittadini che le nostro soluzioni sono convenienti, avremo la possibilità di avere l’opinione pubblica dalla nostra parte”, ha dichiarato Timmermans a proposito dell’impopolarità di alcune scelte necessarie per la transizione. D’altra parte Stoltenberg ha ammesso che la Nato deve “mitigare e ridurre in maniera sostanziale le emissioni nelle attività militari”. Il segretario generale è determinato a spostare il cambiamento climatico in cima all’agenda dell’Alleanza atlantica, “sviluppando tecnologie” che possano “ridurre le emissioni senza ridurre l’efficacia delle nostre capacità militari”.
Perché non ci si può dimenticare della guerra d’aggressione della Russia in Ucraina, e della necessità di garantire supporto costante alla resistenza di Kiev. Guerra che a sua volta impatta sul cambiamento climatico, “cambiando le priorità e rendendo più difficile avanzare su un’agenda comune”. Borrell ne è convinto, “finché la guerra non sarà finita, non vedo alcuna possibilità di parlare con la Russia di cambiamento climatico”. Con o senza il Cremlino, che in ogni caso “non si preoccupava molto del cambiamento climatico anche prima della guerra”, Kerry ha indicato la via da seguire sulle due sponde dell’Atlantico: “Dobbiamo far capire che la crisi climatica è una delle maggiori questioni di sicurezza del pianeta, è tempo di aggiornare la definizione di sicurezza e di preparare il mondo alla più grande trasformazione economica dai tempi della rivoluzione industriale”.