“L’Italia ha avuto un ruolo da protagonista, sono soddisfatta del lavoro che abbiamo fatto”. Giorgia Meloni ha detto una cosa vera: sulla questione migrazioni l’Italia ha avuto quello che voleva. Il tema di Ungheria e Polonia che si sono messe di traverso obbligando il Consiglio europeo a terminare, sul punto, solo con delle “conclusioni del presidente” e non con una presa di posizione a ventisette non è assolutamente importante: per l’Italia e per la politica dell’Unione non cambia niente, anche perché l’accordo politico di oggi in realtà sta bene anche a Varsavia e Budapest.
Perché questo accordo, come di fatto spiega bene il presidente del Consiglio europeo Charles Michel nelle sue “conclusioni” a nome di venticinque Paesi, è un accordo sul finanziare il controllo, il blocco possibilmente, delle frontiere da parte dei Paesi di provenienza e transito dei migranti, che lascia solo sullo sfondo ciò su cui, con abilità, insiste Meloni e cioè l’aiutare la crescita economica dei Paesi africani (perché di questi in particolare si parla, anche se questo non è il principale problema con il quale i migranti si confrontano). I soldi messi a disposizione, una quindicina di miliardi, sono d’altra parte l’indice di ciò che si vuol fare: un nulla per aiutare uno sviluppo di Paesi che sovente non hanno né istituzioni né infrastrutture in grado di affrontare veri programmi di crescita e di lotta ai danni del cambiamento climatico (e quest’utimo tema è quello sul quale insistono molti governi africani), ma abbastanza per finanziare, come d’altra parte è scritto, il controllo dei confini, vendendo loro armi, mezzi, tecnologie, formazione. Un po’ quel che si è fatto con la Libia, in un sostanziale fiasco.
L’Unione europea ha deciso di delegare in sostanza il problema a governi spesso non democratici, se non proprio dittatoriali, che saranno aiutati a non fare uscire persone che vogliono farlo perché pressate da conflitti armati (per capire la situazione basta sapere che il famigerato Gruppo Wagner è presente nella metà dei Paesi africani), dalle violenze, da cambiamenti climatici, dalla desertificazione, della difficoltà di accesso all’acqua, che li uccidono. Perché sono questi i fenomeni che spingono i grandi numeri delle migrazioni, non la povertà, che è certo un motivo per cercare migliori occasioni, ma oramai non è la ragione principale dei grandi movimenti di persone.
E’ stato fatto in Libia, in Niger (con qualche successo tecnico in più) anche in Turchia, e si tenterà di farlo ancora, per tenere lontane dalle nostre frontiere le persone che vogliono migrare. L’obiettivo è non farle arrivare, non aiutarle a star meglio dove stanno.
Il comunicato di Michel dice che “l’Unione europea rimane impegnata a rompere il modello di business dei trafficanti e delle reti di contrabbando, compresa la strumentalizzazione, e ad affrontare le cause alla radice della migrazione irregolare, in modo da affrontare meglio i flussi di migranti ed evitare che le persone intraprendano viaggi così pericolosi”. La prima attenzione è sui trafficanti (gente deprecabile, senza dubbio) e solo dopo si accenna alle “cause della migrazione”, per poi rapidamente tornare a parlare di flussi e di stop ai viaggi. Poi c’è un secondo paragrafo, dove si richiama il diritto internazionale come quadro all’interno del quale l’Ue si muoverà (e vorrei vedere che non fosse così) per poi tornare a parlare di frontiere da tenere ben chiuse “lungo tutte le rotte migratorie”.
Di risorse vere per aiutare l’Africa non si parla. Perché non se ne può parlare: non ci sono risorse europee per aitare significativamente e rapidamente un Continente che conta quasi un miliardo e mezzo di persone, in larghissima parte povere e che in larga parte che vivono in Paesi non democratici e che si confrontano con problemi enormi diversi dalla semplice crescita economica. Per non dire che questo è un processo che richiederebbe alcune generazioni prima di dare i primi risultati.
Meloni parla di “utilizzare risorse per aiutare l’Africa ad avere un’alternativa all’emigrazione di necessità”, in maniera di offrire “una scelta” a quelle persone. Sarebbe bello, ma non è quello che l’Unione ha deciso di fare. Perché quello che ha deciso è di lavarsi le mani della questione pagando i governi dei Paesi di provenienza e transito. A prescindere da qualsiasi considerazione diversa. E su questo approccio, come ha riportato la premier italiana ed ha confermato Michel, “c’è consenso unanime tra i Ventisette”.