Bruxelles – Il dialogo è sempre più intenso e, se andrà in porto, Pedro Sánchez dovrà ringraziare la coalizione di sinistra Sumar. O più precisamente la vicepremier e ministra del Lavoro uscente, Yolanda Díaz, che sta guidando anche a Bruxelles gli sforzi di mediazione con gli indipendentisti catalani per dare alla luce il governo Sánchez 3. È quanto dimostrato oggi (4 settembre) al Parlamento Europeo, dove la leader di Sumar ha tenuto un colloquio con l’eurodeputato, ex-presidente della Generalitat de Catalunya e figura di spicco del partito Junts per Catalunya, Carles Puigdemont. “Il dialogo è un metodo e un impegno, per promuovere il progresso sociale e per andare verso un Paese plurinazionale in cui la politica sia al centro delle soluzioni”, ha commentato Díaz al termine del confronto all’Eurocamera, promettendo che “continueremo a parlare, continueremo a cercare soluzioni attraverso il dialogo e la democrazia“.
“Siamo d’accordo nell’esplorare tutte le soluzioni democratiche per sbloccare il conflitto politico”, hanno messo in chiaro in una nota alla stampa i due leader, che condividono la “profonda convinzione che la politica debba essere condotta attraverso il dialogo e i principi democratici“, così come del fatto che “i problemi politici debbano tornare nei canali politici, per trovare soluzioni basate sul dialogo”. Per la vicepremier Díaz – arrivata a Bruxelles non in qualità di numero due di Sánchez ma come leader del suo partito – quella di oggi è stata un’occasione per un confronto diretto con il leader del partito indipendentista catalano, sia sulle condizioni per un sostegno al governo (che saranno rese note nella giornata di domani), ma anche per spingere una normalizzazione dei rapporti tra la sinistra spagnola e il mondo secessionista che ha guidato il referendum sull’autodeterminazione della Catalogna del 2017: “L’incontro è stato proficuo e permette di stabilire una relazione normalizzata e stabile tra entrambe le formazioni politiche”, scrivono le due parti.
La questione catalana negli ultimi anni ha riguardato molto da vicino anche Bruxelles per la presenza di alcuni eurodeputati come Puigdemont e l’ex-ministro della Salute della Catalogna, Antoni Comín Oliveres (oggi ad accompagnare il suo ex-presidente), ma è tornata di estrema attualità dopo le elezioni in Spagna del 23 luglio scorso. Proprio la sinistra di Sumar, attraverso il suo portavoce, ha mostrato già la settimana scorsa i primi segni di apertura a Junts per Catalunya, dicendosi a favore della costituzionalità di un’amnistia generale per tutte le persone coinvolte nell’organizzazione e lo svolgimento del referendum del 2017, con l’obiettivo di normalizzare i rapporti tra le due parti e spingere un’intesa determinante per la formazione di un nuovo governo Sánchez, che ha necessariamente bisogno della non-opposizione degli indipendentisti di Junts per ottenere la maggioranza al Congresso dei deputati. L’amnistia è un concetto giuridico diverso dall’indulto: la prima costituisce una causa di estinzione del reato, mentre il secondo è una causa di estinzione della pena. In altre parole, con l’amnistia lo Stato rinuncia all’applicazione della pena perché il reato non sussiste più.
Puigdemont ago della bilancia in Spagna
In una Spagna spaccata in due dopo le elezioni di un mese e mezzo fa le forze di sinistra stanno cercando da settimane di mediare con gli indipendentisti catalani. Al Congresso dei deputati il Partito Socialista Operaio Spagnolo (Psoe) e la sinistra di Sumar possono contare su 152 deputati (rispettivamente 121 e 31), mentre la maggioranza è fissata a 176. A questi si sommano i 5 del Partito Nazionalista Basco (Eaj-Pnv) che lo appoggiano dall’esterno e l’astensione dei 7 della Sinistra Repubblicana di Catalogna (Erc) e i 6 della coalizione di nazionalisti baschi progressisti Euskal Herria Bildu (Ehb). In totale si arriva così a 170 e per questa ragione è cruciale per Sánchez convincere i 7 deputati di Junts per Catalunya di Puigdemont a ritirarsi dall’opposizione. Un primo confronto tra i socialisti e Junts ha portato il 17 agosto a un accordo per l’elezione della candidata del Psoe, Francina Armengol, a nuova presidente del Congresso dei deputati. Junts ha smorzato subito gli entusiasmi – affermando che l’intesa non riguardava una possibile investitura di Sánchez a premier – ma la scorsa settimana lo stesso premier uscente ha confermato a Re Felipe VI di Spagna di essere in grado di “raccogliere il sostegno parlamentare necessario”.
Nel frattempo continuano gli sforzi quasi senza speranza del leader del Partido Popular (Pp), Alberto Núñez Feijóo, per tentare di mettere insieme una maggioranza che sostenga un governo di destra da lui presieduto, dopo aver ricevuto il 22 agosto l’incarico da Re Felipe VI in qualità di vincitore delle elezioni di luglio. Ormai è abbastanza evidente che i tentativi di Núñez Feijóo sono destinati a fallire. In primis perché la la coalizione di destra conta 172 deputati – oltre ai 137 quelli del Pp anche i 33 dell’estrema destra di Vox e i due di Coalizione Canaria e Unione del Popolo Navarro – e non sembra verosimile che i partiti regionalisti baschi o catalani lo sostengano dall’esterno per compensare i quattro che mancano per la soglia minima. Secondo, perché proprio alla prima seduta del Parlamento è emersa una prima importante frattura tra popolari ed estrema destra, in cui Vox ha deciso di rompere il fronte dopo che i nazionalisti sono rimasti senza vicepresidenti. Nemmeno i tentativi di strappare da una possibile maggioranza di sinistra il Partito Nazionalista Basco – di centro-destra ma favorevole all’indipendentismo basco (e perciò in contrasto con il centralismo del Partito Popular) – sembra poter andare in porto: “Non parteciperemo a combinazioni in cui sia presente Vox”, hanno tagliato corto i baschi.
Se però nemmeno la mediazione tra le forze di sinistra e gli indipendentisti catalani di Puigdemont dovesse andare in porto, non è ancora da escludere lo scenario di nuove elezioni in Spagna nelle prime settimane del 2024. Dopo il primo voto di investitura per Feijóo che si svolgerà tra il 26 e il 27 settembre, a meno di un’inaspettata convergenza di altre forze politiche verso destra la palla passerà a Sánchez, che entro 60 giorni dovrà giocarsi le sue carte. Se nessun candidato otterrà voti sufficienti, si terranno nuove elezioni non prima di 47 giorni. Questo porta il calendario a domenica 14 gennaio come prima data utile, lasciando comunque al governo Sánchez di transizione la possibilità di gestire la presidenza di turno del Consiglio dell’Ue fino a fine anno, con l’obiettivo di finalizzare diversi pacchetti legislativi, dal Patto migrazione e asilo al Green Deal Europeo.