Bruxelles – Il salario minimo deve essere introdotto in Italia e in tutta Europa. È la proposta portata oggi da Sabrina Pignedoli, europarlamentare del Movimento 5 Stelle, durante la tavola rotonda “Il salario minimo in Europa e in Italia” che si è tenuta oggi (26 settembre) al Parlamento europeo. La richiesta di Pignedoli è che la direttiva adottata dal Consiglio dell’Unione europea il 4 ottobre 2022 sul salario minimo europeo possa essere recepita dal governo italiano, su spinta della proposta di tutte le opposizioni (a eccezione di Italia Viva di Matteo Renzi), a prima firma Giuseppe Conte (leader M5S), di introdurre in Italia un salario minimo pari a 9 euro lordi l’ora. “Il salario minimo non combatte solamente l’odioso fenomeno delle paghe da fame ma fa bene anche all’economia in generale. Secondo uno studio dell’università di Harvard, infatti, il salario minimo ha portato nei 22 Paesi europei che lo hanno adottato ad un aumento del Pil e all’occupazione. È questa la strada giusta: l’Italia deve applicare alla lettera e senza perdere tempo la direttiva europea”, ha dichiarato Pignedoli. Secondo la direttiva Ue, ogni Paese deve fissare il salario minimo al 60 per cento del salario mediano lordo e al 50 per cento del salario medio lordo. Che, per l’Italia, corrisponde a 9 euro.
“Spesso si dice che in Italia non serva un salario minimo perché abbiamo una forte contrattazione collettiva”, ha spiegato Davide Aiello, deputato del Movimento 5 Stelle. “Ma siamo anche l’unico Paese che, tra il 1990 e 2020, anziché crescere ha avuto un calo medio del salario del 2,9 per cento. Ed è dove c’è stato anche il calo dei salari più importante in area euro dall’inizio della pandemia: -7,5 per cento”. Secondo Aiello, il salario minimo potrebbe essere la risposta a questa tendenza, senza andare a intaccare i contratti nazionali: “Nessun lavoratore dovrà avere condizioni inferiori a quelle garantite adesso dalla contrattazione colletiva. La soglia minima inderogabile è fissata a 9 euro, ma rimane il minimo percepibile. I contratti che hanno soglie più alte non le abbasseranno con l’entrata in vigore di questa misura”. A fargli eco anche Stefano Fassina, economista ed ex viceministro dell’Economia: “L’obiettivo è quello di rafforzare la contrattazione collettiva, non di sostituirla, perché dobbiamo essere sempre consapevoli che è un livello, appunto, minimo. Un grande miglioramento per chi non ce l’ha, ma resta privo di tutta una serie di benefit di cui gode invece la contrattazione colletiva nazionale. Non è che conquistiamo la Bastiglia col salario minimo, ma è una trincea per non continuare ad arretrare“.
La proposta di Pasquale Tridico, ex presidente dell’Inps, è che a pagare il salario minimo europeo – in modo da renderlo possibile per tutti i Ventisette – sia Bruxelles: “La nostra eurozona è incompleta. Uno dei meccanismi per completarla sarebbe costruire dei meccanismi automatici di stabilizzazione. Il reddito minimo sarebbe esattamente questo, se venisse pagato attraverso il trasferimento centralizzato da parte di Bruxelles, con finanziamenti che si raccolgano attraverso tutti gli Stati membri. La distribuzione avverrebbe sulla base del bisogno, sulla base della povertà, sulla base dei tassi di disoccupazione”.
Tra gli ospiti dell’evento anche Barbara Kaufmann, direttrice per l’occupazione e la governance sociale presso la Dg Empl, che ha chiarito la posizione della Commissione europea sulla direttiva sul salario minimo: “Non si tratta di definire un livello di retribuzione armonizzato, non vuole esserci un’ingerenza nelle competenze nazionali. Questo vuol dire, per l’Italia, che non è obbligata a recepirla”. Ma sarebbe auspicabile. Quella di adottare un salario minimo è una scelta importante per gli Stati e la commissaria suggerisce di prenderla, anche per l’importanza che potrebbe avere per l’economia di un Paese: “Bisogna aumentare i salari per attirare le persone nel mondo del lavoro”, ha affermato Kaufmann. Ricordando: “Per gli Stati membri c’è ancora un anno, fino a metà novembre 2024, per recepirla”.
Secondo Il Sole 24 Ore un rapporto del 2022 mostra che un quarto dei dipendenti ha una retribuzione individuale inferiore al 60 per cento della mediana. Ne deriva che circa un decimo vive in condizioni di sostanziale indigenza in nuclei familiari il cui reddito netto equivalente è inferiore al 60 per cento della mediana. La direttiva sul salario minimo europeo, che non prescrive un livello di salario minimo specifico che gli Stati membri devono raggiungere, chiede ai Paesi comunitari in cui sono previsti salari minimi legali di istituire un quadro per fissarli e aggiornarli (ogni due o ogni quattro anni, in base ai Paesi) secondo una serie di criteri chiari. Non solo: indica anche a ogni Stato che abbia un tasso di copertura della contrattazione collettiva inferiore alla soglia dell’80% di prevedere condizioni favorevoli alla contrattazione collettiva. L’Italia, nonostante non abbia un salario minimo, non è obbligata a rispettare la direttiva comunitaria. Questo avviene proprio perché, secondo l’Inapp (l’istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche), ha un tasso di copertura della contrattazione collettiva superiore all’80 per cento – 88,9 per cento.