Bruxelles – Mentre la Commissione Europea continua ad analizzare il testo del protocollo tra Italia e Albania sulla migrazione in cerca di potenziali violazioni del diritto comunitario e internazionale, le preoccupazioni per le implicazioni dell’intesa – nel caso in cui sarà messa effettivamente in campo – iniziano a toccare anche le organizzazioni internazionali in Europa. L’intesa firmata lunedì (6 novembre) dalla prima ministra italiana, Giorgia Meloni, e dall’omologo albanese, Edi Rama, “solleva diverse preoccupazioni in materia di diritti umani e si aggiunge a una preoccupante tendenza europea verso l’esternalizzazione delle responsabilità in materia di asilo“, è il duro commento arrivato questa mattina (13 novembre) dalla commissaria per i Diritti umani del Consiglio d’Europa, Dunja Mijatović.
Dopo le critiche sollevate la settimana scorsa dal Consiglio Europeo per i Rifugiati e gli Esiliati (la rete di Ong basata a Bruxelles che promuove i diritti dei rifugiati, dei richiedenti asilo e degli sfollati), il Consiglio d’Europa è la prima istituzione paneuropea a mettere nero su bianco quali sono i punti più delicati e preoccupanti di una strategia nazionale (italiana) sulla migrazione che esula dai negoziati a livello Ue sul Patto migrazione e asilo. “Il protocollo d’intesa solleva una serie di importanti interrogativi sull’impatto che la sua attuazione avrebbe sui diritti umani di rifugiati, richiedenti asilo e migranti”, sottolinea la commissaria Mijatović, riferendosi allo “sbarco tempestivo, l’impatto sulle operazioni di ricerca e salvataggio, l’equità delle procedure di asilo, l’identificazione delle persone vulnerabili, la possibilità di detenzione automatica senza un’adeguata revisione giudiziaria, le condizioni di detenzione, l’accesso all’assistenza legale e i rimedi efficaci”.
Prevedendo la costruzione di due centri su territorio albanese ma sotto la giurisdizione italiana – a Shengjin per le procedure di sbarco e di identificazione e a Gjader come un Centro di permanenza per i rimpatri (Cpr) – l’intesa tra Italia e Albania “crea un regime di asilo extraterritoriale ad hoc caratterizzato da molte ambiguità giuridiche”. In altre parole, “la mancanza di certezza giuridica probabilmente comprometterà le garanzie fondamentali” per i diritti umani e la responsabilità per le violazioni, “determinando un trattamento differenziato tra coloro le cui domande di asilo saranno esaminate in Albania e coloro per i quali ciò avverrà in Italia”. Esattamente le stesse criticità evidenziate dalla società civile organizzata.
Ma ciò che preoccupa con particolare urgenza la commissaria per i Diritti umani del Consiglio d’Europa è soprattutto il fatto che il protocollo d’intesa “è indicativo di una più ampia spinta” dei 46 membri dell’organizzazione internazionale a “perseguire vari modelli di esternalizzazione dell’asilo come potenziale ‘soluzione rapida’ alle complesse sfide” poste dalla questione della migrazione verso l’Europa. Mijatović ha ribadito con chiarezza che “le misure di esternalizzazione aumentano significativamente il rischio di esporre rifugiati, richiedenti asilo e migranti a violazioni dei diritti umani“, dal momento in cui “lo spostamento della responsabilità oltre confine da parte di alcuni Stati incentiva anche altri a fare lo stesso”, creando potenzialmente “un effetto domino che potrebbe minare il sistema europeo e globale di protezione internazionale“.
È per questo motivo che per il Consiglio d’Europa le garanzie sul fatto che l’asilo possa essere richiesto e valutato sul territorio degli Stati membri “rimane una pietra miliare di un sistema ben funzionante e conforme ai diritti umani, che fornisce protezione a chi ne ha bisogno”. E, di conseguenza, che gli sforzi degli Stati membri si concentrino non sull’esternalizzazione – come nel caso dell’accordo dell’Italia con l’Albania – ma sul “miglioramento dell’efficienza e dell’efficacia dei loro sistemi nazionali di asilo e di accoglienza“. Allo stesso tempo “è fondamentale” implementare la cooperazione internazionale per la creazione di “percorsi sicuri e legali che permettano alle persone di cercare protezione in Europa senza ricorrere a rotte migratorie pericolose e irregolari“. Questi sono i due punti fondamentali che dovrebbero essere attuati dai 46 membri del Consiglio d’Europa e dai 27 dell’Unione Europea: “Il dibattito in corso sull’esternalizzazione non deve distogliere le risorse e l’attenzione necessarie”, ha concluso il suo commento la commissaria Mijatović.
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