Bruxelles – Il velo islamico sul posto di lavoro pubblico si può vietare, purché si vieti tutto il resto a chiunque altro. Se ‘no’ deve essere, non può e non e non deve essere specifico, limitato a categorie specifiche di persone. In estrema sintesi: una pubblica amministrazione può decidere di vietare all’insieme dei suoi dipendenti di indossare segni religiosi. Lo ha stabilito la Corte di giustizia dell’Ue, chiamata a pronunciarsi su un caso che ha investito una cittadina belga di fede musulmana a cui il comune in cui è impiegata ha vietato di indossare il velo, in ragione di una politica di neutralità imposta a tutto il personale.
Per i giudici di Lussemburgo, al fine di creare al suo interno un ambiente amministrativo totalmente neutro, la misura che vieta di esibire segni di appartenenza confessionale “può essere considerata oggettivamente giustificata da una finalità legittima“. Allo stesso tempo, sarebbe “altrettanto giustificata” la scelta di un’altra pubblica amministrazione a favore di una politica che consenta, in maniera generale e indiscriminata, di indossare segni visibili di convinzioni, in particolare filosofiche o religiose, anche nei contatti con gli utenti”.
Per non incorrere nel rischio di violare la direttiva europea del 2000 per la parità di trattamento sul posto di lavoro, dunque, occorrono misure omogenee. Se non si può indossare il velo, non si può avere al collo un crocifisso né ciondoli con l’immagine della Madonna. O tutti o nessuno. Una sentenza che potrebbe alimentare il dibattito politico su un tema molto sensibile, ma che ricalca la sentenza emessa nel 2021 sempre dai giudici di Lussemburgo, che non si discostano dal solco giurisprudenziali già tracciato.ù
Stabilita la cornice, spetta ai giudici nazionali l’ultima parola. Perché ogni ente conserva una propria autonomia e discrezionalità nell’applicare le politiche di lavoro. La possibilità di vietare è, per l’appunto, una possibilità.