Bruxelles – Anche il mondo della finanza guarda con preoccupazione al cambiamento climatico. “Crisi ambientali e perdita di biodiversità – in precedenza trascurate dal settore finanziario – stanno emergendo come fonti di rischio per l’instabilità finanziaria sistemica, con un potenziale impatto sull’economia reale“: è quanto emerge dall’ultimo studio della Banca Centrale Europea (Bce) e del Comitato europeo per il rischio sistemico (Esrb).
Secondo gli esperti dell’Esrb, i rischi finanziari legati al clima sono essenzialmente di due tipi: quelli che derivano dagli impatti fisici del cambiamento climatico, come gli eventi meteorologici estremi, e quelli legati alla transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio. Questi ultimi sorgono quando vengono stanziati fondi per iniziative economiche destinate a diventare obsolete, a causa di un’evoluzione delle sensibilità dei consumatori, dell’introduzione di nuove tecnologie verdi o di cambiamenti nella legislazione. Asset fisici come una miniera di carbone, che potrebbe essere abbandonata o costretta a chiudere, con conseguenti perdite finanziarie sugli investimenti effettuati. Secondo le stime del rapporto Bce-Esrb, circa l’11 per cento dei portafogli degli investitori europei è esposto ai rischi di transizione climatica.
Ma il rischio finanziario più diretto è quello determinato dall’aumento della frequenza e della gravità dei disastri naturali. Lo studio evidenzia l’impatto significativo delle inondazioni sulle probabilità di insolvenza dei prestiti: le imprese esposte a eventi alluvionali avrebbero fino al 30 per cento in più di probabilità di non rimborsare i prestiti nei due anni successivi al disastro. Un dato dovuto principalmente alla distruzione dei beni fisici e alle interruzioni delle attività aziendali. Un pericolo già noto perché, come dimostra lo studio, “il rischio di alluvione è tipicamente inserito nei nuovi prestiti, con conseguenti maggiori costi di capitale per le piccole e medie imprese europee esposte al rischio di alluvione”.
Le perdite bancarie causate da alluvioni aumenterebbero “in modo sostanziale” nel drammatico scenario di un aumento della temperatura media globale di 3 gradi, raggiungendo – secondo una ricerca del Joint Research Center (Jrc) della Commissione europea – l’1 per cento delle attività totali delle banche nelle regioni soggette a quel rischio geografico.
Discorso analogo vale per la perdita di biodiversità e il degrado ambientale, con rischi finanziari legati alla dipendenza delle attività produttive da risorse biologiche e ecosistemi. È così per l’agricoltura, la pesca o anche per l’industria farmaceutica, solo per citarne alcune. Le imprese – e le banche che le finanziano – devono affrontare i rischi associati: dallo studio Bce-Esrb emerge che gli operatori finanziari stanno “prendendo sempre più in considerazione” gli impatti sui servizi ecosistemici come fattori di rischio e ne tengono conto nel determinare i prezzi dei prestiti. Per “servizi ecosistemici” si intendono i “benefici multipli forniti dagli ecosistemi al genere umano”: nel 2018 il Jrc ha stimato che il valore di nove servizi ecosistemici sul territorio comunitario arrivava a 187 miliardi di euro. Un valore che si materializza in servizi che “non vanno solo a beneficio dei settori primari, ma anche della società in generale, offrendo benefici pubblici come la regolazione del clima e il mantenimento di habitat e specie”.
La ricerca sottolinea infine l’importanza delle considerazioni sui rischi climatici per le finanze pubbliche: i governi sono attori principali nei mercati dei capitali verdi e hanno un ruolo chiave nell’investimento in azioni a favore del clima e dell’ambiente. Il lavoro della Bce-Esrb dimostra che le obbligazioni verdi emesse dagli Stati sovrani sono “un segnale credibile delle loro credenziali verdi e del loro impegno a finanziare infrastrutture a basse emissioni di carbonio, ad affrontare i cambiamenti climatici e a perseguire altri obiettivi ambientali”.