Bruxelles – Il 2024 potrebbe (finalmente) essere l’anno dell’apertura di una convenzione per riformare i trattati dell’Unione europea. Lunedì 18 dicembre il Consiglio dell’Ue (l’istituzione in cui si riuniscono gli Stati membri a livello ministeriale) ha accettato di trasmettere al Consiglio europeo (dove si riuniscono, invece, i capi di stato e governo) la richiesta formale dell’Europarlamento di convocare una Convenzione per riformare i trattati europei, contenuta in una risoluzione adottata dall’Aula a maggioranza (piuttosto risicata) lo scorso 22 novembre in plenaria a Strasburgo.
A che punto siamo
L’iter doveva essere più rapido e la risoluzione del Parlamento finire sul tavolo del Consiglio Affari Generali lo scorso 12 dicembre in modo che potesse essere discussa durante il Consiglio europeo del 14 e 15 dicembre, l’ultimo dell’anno. Così non è stato, dunque il dossier passa in eredità direttamente alla futura presidenza belga del Consiglio Ue che assumerà le redini dell’Ue dal primo gennaio e dovrà invitare il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, a porre all’attenzione degli altri capi di stato e governo la questione della revisione dei trattati agenda di un Vertice europeo, probabilmente nella prima metà del 2024.
Michel ha convocato un Vertice straordinario il primo febbraio per discutere di revisione intermedia del bilancio a lungo termine, ma non sembra il momento più adatto per discutere anche di revisione dei trattati. Le discussioni dovrebbero finire al Consiglio europeo di marzo. L’idea è quella di arrivare alle urne il 6-9 giugno 2024 con un’idea chiara su come portare avanti le discussioni con l’avvio della prossima legislatura.
Superare il voto all’unanimità in parte delle materie in cui oggi si utilizza (come la politica estera e la materia finanziaria) è il nodo cruciale delle richieste dell’Eurocamera, per un’Unione europea più efficiente e agile sullo scacchiere geopolitico e in vista delle nuove adesioni. Meno impasse e meno stalli in sede di Consiglio europeo, dove un singolo Stato oggi può oggi di fatto bloccare una decisione che mette d’accordo gli altri 26. Gli eurodeputati sostengono un sistema legislativo meno sbilanciato nei confronti dell’Eurocamera, chiedendo il diritto di iniziativa legislativo (ora in capo alla sola Commissione europea) e aumentando il numero delle decisioni a maggioranza qualificata in seno al Consiglio.
Il testo delle richieste del Parlamento è firmato da ben cinque eurodeputati co-relatori, uno per gruppo politico che sostiene la proposta: il belga Guy Verhofstadt per Renew Europe, il tedesco Sven Simon per il Ppe, il tedesco Gabriele Bischoff per i Socialisti&Democratici (S&D), il tedesco Daniel Freund per i Verdi europei e il tedesco Helmut Scholz per la Sinistra. A non sostenere il progetto di riforma, come previsto, sono stati i Conservatori e Riformisti di Ecr (di cui fa parte Fratelli d’Italia) e la destra di Identità e Democrazia (di cui fa parte la Lega), che sono a loro volta contrari all’idea di riformare i trattati.
Come si modificano i trattati
Per l’avvio del processo, l’Eurocamera fa leva sulla cosiddetta procedura ordinaria dell’articolo 48 del Trattato sull’Unione europea (Tue), che prevede che sia il Consiglio europeo a maggioranza semplice (14 Stati su 27) a decidere di convocare una convenzione, che sarà composta da rappresentanti dei parlamenti nazionali, dei capi di Stato o di governo degli Stati membri, del Parlamento europeo e della Commissione. I capi di stato e governo, sempre a maggioranza semplice, possono decidere di non aprire una vera convenzione se non ci sono modifiche drastiche da approvare, ma solo una conferenza intergovernativa. E se si dovesse arrivare a trovare un accordo sulle modifiche ai trattati, ciascuno Stato membro dovrà poi approvarle.
Attualmente c’è un blocco di almeno 13 Stati membri – Bulgaria, Repubblica Ceca, Croazia, Danimarca, Estonia, Finlandia, Lituania, Lettonia, Malta, Polonia, Romania, Svezia e Slovenia – che si è opposto con fermezza alla modifica dei Trattati europei, definendo “prematura” l’idea di riformare i trattati. A rimettere in moto il processo di riforma è stata la Conferenza sul futuro dell’Europa, l’unico esercizio di democrazia partecipativa nella storia dell’Ue che per quasi dodici mesi ha portato 800 cittadini – casualmente selezionati da tutti e Ventisette gli Stati membri – a discutere di futuro dell’Unione Europea e per individuare con quali priorità andare a rendere più solido il progetto di integrazione comunitaria.
Dalla Conferenza è arrivata la richiesta diretta, attraverso le 49 raccomandazioni, di aprire la convenzione, ma anche se l’iniziativa era sostenuta da governi dal peso politico della Germania, la Francia e l’Italia, l’iniziativa si era di fatto arenata, frenata dagli Stati più piccoli, che si appellano alla garanzia del potere di veto per avere più peso politico in seno al Consiglio, dove altrimenti rischiano di “sparire”. Nonostante la lentezza, oggi il processo si può considerare pienamente ri-avviato e a mettere pressione alle istituzioni di Bruxelles è principalmente l’idea che la riforma delle istituzioni europee, in particolare la riforma del sistema di voto in seno al Consiglio, debba andare di pari passo con il processo di allargamento dell’Ue, che la guerra della Russia in Ucraina ha rilanciato in maniera decisiva.
Più l’Unione europea si allarga, più è necessario semplificare il sistema di voto in alcune materie che sono predominanti – come la politica estera – e in cui si rischia uno stallo continuo. Non a caso, le riforme dell’Ue sono uno dei temi portanti della prossima presidenza belga alla guida dell’Ue per un’Europa pronta per il futuro. “Dobbiamo riformare l’Ue, le sue politiche, i bilanci e le istituzioni, in vista del prossimo possibile allargamento”, si legge sul sito della prossima presidenza.