Bruxelles – Mentre il flusso di denaro comunitario sta affluendo nelle casse pubbliche dell’Ungheria di Viktor Orbán, a Bruxelles diventano sempre più esplicite le tensioni tra le istituzioni comunitarie sulla decisione della Commissione Europea di scongelare oltre 10,2 miliardi di euro dei fondi della politica di coesione, della pesca e degli Affari interni. È in programma per mercoledì mattina (17 gennaio) un dibattito alla sessione plenaria del Parlamento Ue proprio sulla ‘situazione in Ungheria e i fondi Ue scongelati’ – al termine di quello sulle dichiarazioni di Commissione e Consiglio sul vertice dei leader del 14-15 dicembre e sulla preparazione del Consiglio straordinario del primo febbraio – mentre i gruppi politici di maggioranza affilano i coltelli contro lo stesso gabinetto von der Leyen che sostengono.
Dopo la prima tranche da 779,5 milioni milioni arrivata a fine dicembre 2023, la Commissione Ue ha reso noto oggi (15 gennaio) l’esborso dei restanti 140,1 milioni di pre-finanziamento del capitolo RePowerEu da 4,6 miliardi di euro relativo al Piano nazionale di ripresa e resilienza, approvato dall’esecutivo comunitario il 23 novembre 2023. “Questi anticipi contribuiranno a dare il via all’attuazione delle misure di investimento e di riforma cruciali delineate in ciascun capitolo di RePowerEu”, si legge nella nota dell’esecutivo comunitario: “Ciò accelererà la realizzazione degli obiettivi di risparmio energetico, produzione di energia pulita e diversificazione delle forniture energetiche”. A differenza del Pnrr generale, l’esborso dei pre-finanziamenti del capitolo RePowerEu è automatico e non vincolato dal rispetto dei ‘super-obiettivi’ sullo Stato di diritto, ma in ogni caso la Commissione ha la possibilità di recuperare “tutti gli importi di prefinanziamento che non sono stati compensati con le richieste di pagamento regolari” entro la fine della durata del Dispositivo per la ripresa e la resilienza (Rrf).
Gli eurodeputati non hanno però digerito il fatto che – parallelamente ai pre-finanziamenti di RePowerEu – la Commissione Ue abbia deciso a dicembre di sbloccare anche 10,2 miliardi di euro ancora congelati. In vista del dibattito in sessione plenaria il presidente del Partito Popolare Europeo (Ppe), Manfred Weber, aveva chiesto alla numero uno del Parlamento Europeo, Roberta Metsola, di procedere con “un’analisi approfondita della situazione e proporre una linea d’azione concreta per il Parlamento”, in quanto “non convinti del ragionamento della Commissione”. Ma anche gli altri gruppi politici hanno iniziato l’offensiva politica contro il Berlaymont. “Il rilascio prematuro dei fondi congelati all’Ungheria è inaccettabile, le condizioni abilitanti richieste non erano soddisfatte”, è stato l’attacco della portavoce di Renew Europe, Catherine Laurence Martens-Preiss, annunciando che gli eurodeputati liberali sono pronti a includere nella risoluzione “una mozione di censura se saranno rilasciati ulteriori fondi congelati“. La mozione di censura è un provvedimento con cui l’Eurocamera esprime il proprio parere negativo sull’operato dell’esecutivo e, se approvata, costringe i membri del Collegio dei commissari a dimettersi.
Sia gli eurodeputati di Renew Europe sia quelli dell’Alleanza Progressista dei Socialisti e dei Democratici (S&D) al Parlamento Ue supportano inoltre il ricorso all’articolo 7 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea contro l’Ungheria, ovvero il meccanismo che permette di sospendere i diritti di adesione all’Ue in caso di violazione “grave e persistente” dei principi fondanti dell’Unione da parte di un Paese membro. “Il Parlamento può prendere una posizione forte nel suo insieme e mandare un chiaro messaggio”, ha sottolineato l’addetto stampa S&D, Ewan Macphee, nella conferenza stampa pre-plenaria. Dissonanti le voci delle destre europee contro la maggioranza all’Eurocamera, con l’accusa arrivata da Identità e Democrazia (Id) di avere “Orbán come fetish”, mentre il portavoce del gruppo dei Conservatori e Riformisti Europei (Ecr), Michael Strauss, ha lasciato aperta la porta al partito Fidesz di Orbán: “Chiunque condivide i nostri valori può unirsi a noi“, dopodiché l’ingresso “è una decisione di tutto il gruppo una volta che viene fatta domanda di adesione, ma al momento non è arrivata”.
La giungla dei fondi Ue congelati e scongelati all’Ungheria
Stando ai dati più accurati forniti a maggio 2023 dai servizi della Commissione, i fondi Ue destinati all’Ungheria congelati da Bruxelles si attestavano a 28,6 miliardi di euro, divisi in tre macro-aree: Piano nazionale di ripresa e resilienza (5,8 miliardi), fondi della politica di coesione (22,6 miliardi) e fondi per gli Affari interni (223 milioni). Le tre strade procedono in parallelo, ciascuna con una procedura specifica (o più, in base alla natura dei finanziamenti). La prima considera i “27 super-obiettivi” sullo Stato di diritto stabiliti il 30 novembre dello scorso anno dalla Commissione per sbloccare i fondi del Pnnr dell’Ungheria, ovvero 5,8 miliardi in sovvenzioni. Quanto ci si attende da Budapest è che venga rafforzata l’indipendenza giudiziaria, in modo che le decisioni dei giudici siano “protette da interferenze politiche esterne”.
Il secondo capitolo – decisamente il più complesso – è quello che riguarda i fondi della politica di coesione, che per l’Ungheria valgono complessivamente 22,6 miliardi di euro come finanziamenti dal budget comunitario. Di questi fondi 6,3 miliardi sono stati congelati attraverso il meccanismo di condizionalità sullo Stato di diritto per decisione del Consiglio nel dicembre 2022 (e che rimangono congelati). Si tratta di una procedura a sé stante che riguarda il 55 per cento dei fondi destinati all’Ungheria da tre programmi operativi finanziati dal Fondo europeo di sviluppo regionale (Fesr), dal Fondo di coesione, dal Fondo per la transizione giusta (Jtf) e dal Fondo sociale europeo Plus (Fse+): ‘Ambiente ed efficienza energetica Plus’, ‘Trasporto integrato Plus’, e ‘Sviluppo territoriale e degli insediamenti Plus’.
Dei restanti 16,3 miliardi, 12,9 miliardi erano vincolati solo all’implementazione delle riforme giudiziarie (senza ulteriori criteri) e si tratta di quelli che sono stati in parte sbloccati da Bruxelles dopo la richiesta di revisione. I restanti 3,4 miliardi sono bloccati per il mancato rispetto delle condizioni abilitanti orizzontali – ovvero le condizioni necessarie per quanto riguarda la Carta dei diritti fondamentali dell’Ue – in tre controversie tra la Commissione e l’Ungheria: la legge ‘sulla protezione dell’infanzia’ (la legge anti-Lgbtq+), quella sull’indipendenza accademica e quella sul trattamento riservato alle persone richiedenti asilo. La prima questione è responsabile per lo stallo del 3 per cento del budget della politica di coesione (cioè 678 milioni), la secondo del 9 per cento (oltre 2 miliardi) e la terza di un ulteriore 3 per cento (altri 678 milioni). Per sbloccare questi fondi non è sufficiente mettere fine alle questioni legate all’indipendenza del sistema giudiziario (anche se rimane per tutti questi un pre-requisito), dal momento in cui devono essere risolte anche le pendenze riguardanti le altre condizioni abilitanti orizzontali.
C’è infine da considerare l’ultima questione, quella dei 223,1 milioni di euro di tre programmi dei Fondi per gli Affari interni. Come appreso da Eunews a febbraio da fonti interne all’esecutivo comunitario – e poi confermato di nuovo a metà novembre – si tratta di 69,8 milioni dal Fondo Asilo, migrazione e integrazione (Amif), 102,8 dallo Strumento per la gestione delle frontiere e i visti (Bmvi) e 50,5 dal Fondo sicurezza interna (Isf). Nonostante la mancanza di trasparenza della Commissione renda complesso capire esattamente quali fondi siano stati scongelati, fonti vicine al dossier riferiscono che si tratterebbe sia dei fondi Isf e Bmvi (vincolati esclusivamente alle questioni giudiziarie secondo le decisioni di implementazione), sia di quelli Amif legati all’accesso all’asilo (integrazione), mentre rimarrebbero bloccati quelli legati al non-respingimento (rimpatri).