Bruxelles – Poche sorprese alla prova del voto su uno dei dossier più duri del Parlamento Europeo contro l’Ungheria, ma quello che emerge dalle posizioni dei gruppi politici in generale e degli eurodeputati italiani in particolare è che su questioni cruciali per l’Unione Europea come il rispetto dello Stato di diritto non c’è alcuna maggioranza tra le forze di destra. Perché se Fratelli d’Italia e Lega (insieme ai rispettivi gruppi dei Conservatori e Riformisti Europei e di Identità e Democrazia) si schierano a sostegno di Viktor Orbán, Forza Italia e il Partito Popolare Europeo non sono disposti a fare concessioni nemmeno alla stessa Commissione che sostengono. La stessa che, solo un mese fa, ha deciso di sbloccare – in modo quantomeno controverso – 10,2 miliardi di euro in fondi Ue a Budapest.
La risoluzione approvata con 345 voti a favore, 104 contrari e 29 astenuti si basa su due punti principali. Il primo è il ricorso all’articolo 7 del Trattato sull’Unione Europea, ovvero il meccanismo che permette di sospendere i diritti di adesione all’Ue in caso di violazione “grave e persistente” dei principi fondanti dell’Unione da parte di un Paese membro: “Invitiamo il Consiglio Europeo e gli Stati membri ad agire e a stabilire se l’Ungheria abbia commesso violazioni gravi e persistenti dei valori dell’Ue”, si legge nel testo della risoluzione, che allo stesso tempo “deplora vivamente che il Consiglio non sia riuscito a compiere progressi significativi” nella stessa procedura richiesta già nel 2018. Il secondo punto è quello sull’avviare l’iter per portare davanti alla Corte di Giustizia dell’Ue la decisione della Commissione di scongelare i 10,2 miliardi di euro in fondi comunitari all’Ungheria: “Il Parlamento Europeo incarica la commissione giuridica di adottare quanto prima le misure necessarie” per “riesaminare la legittimità della decisione dinanzi alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea“, considerata la possibilità per l’Eurocamera di “utilizzare tutte le misure giuridiche e politiche a sua disposizione se la Commissione sblocca i finanziamenti senza che siano soddisfatti i criteri o se non riesce a garantire la piena attuazione della legislazione pertinente”.
Di fronte a un risultato del voto pressoché scontato sul testo nel suo insieme, è interessante però considerare come si sono schierati i gruppi politici e i rispettivi partiti, su una questione dirimente per l’Unione come lo è il rispetto dello Stato di diritto. A favore della risoluzione il Partito Democratico (S&D), Italia Viva (Renew Europe), il Movimento 5 Stelle e, soprattutto, Forza Italia (Ppe), i cui eurodeputati hanno evidenziato ancora una volta con il proprio voto l’impraticabilità (almeno al momento) di un’alleanza strutturale delle forze politiche di destra a Bruxelles. Solo Lega (Id) e Fratelli d’Italia (Ecr) si sono opposti con i propri voti, insieme a quelli di tutti gli altri partiti dell’estrema destra europea, a qualsiasi tipo di azione per privare il governo Orbán dell’accesso ai fondi Ue e ai diritti di adesione. Quando mancano meno di cinque mesi alle elezioni europee del 6-9 giugno, bisogna ricordare che è aperta la porta del Partito dei Conservatori e Riformisti Europei (presieduto dalla premier italiana, Giorgia Meloni) proprio al partito Fidesz di Orbán e questo potrebbe essere un ulteriore elemento di frizioni nei rapporti tra popolari e conservatori. Senza dimenticare le parole della presidente del Parlamento Ue, Roberta Metsola, a escludere confronti con i partiti di estrema destra rappresentati dal gruppo Id: “Quando andremo alle elezioni a giugno, ai cittadini dobbiamo proporre una scelta pro-europeista”.
Un ultimo elemento di analisi del voto di oggi (18 gennaio) è quello che riguarda due emendamenti – entrambi non approvati – che proponevano posizioni ancora più incisive contro l’Ungheria. Il primo emendamento era quello annunciato e presentato dai liberali di Renew Europe per una mozione di censura contro la Commissione Ue se saranno sbloccati altri fondi a Budapest (in vista del Consiglio straordinario del primo febbraio in cui Orbán potrebbe porre un nuovo veto al sostegno finanziario all’Ucraina). La mozione di censura è un provvedimento con cui l’Eurocamera esprime il proprio parere negativo sull’operato dell’esecutivo e, se approvata, costringe i membri del Collegio dei commissari a dimettersi. Forza Italia – condividendo la decisione del Ppe – ha votato contro, ma il Partito Democratico non ha seguito l’indicazione del proprio gruppo di appartenenza e si è schierato a favore insieme a Movimento 5 Stelle e Italia Viva. Il secondo emendamento è stato invece presentato dal gruppo della Sinistra e invitava il Consiglio “a utilizzare i suoi poteri per modificare la configurazione della presidenza del Consiglio al fine di sospendere la presidenza ungherese” al via dal primo luglio. In questo caso anche il Pd si è schierato contro – con gli altri partiti S&D e con quelli di destra – lasciando solo Italia Viva (in blocco con Renew) e il Movimento 5 Stelle a sostenere la proposta più dura.
I fondi Ue congelati e scongelati all’Ungheria
Stando ai dati più accurati forniti a maggio 2023 dai servizi della Commissione, i fondi Ue destinati all’Ungheria congelati da Bruxelles si attestano a 28,6 miliardi di euro, divisi in tre macro-aree: Piano nazionale di ripresa e resilienza (5,8 miliardi), fondi della politica di coesione (22,6 miliardi) e fondi per gli Affari interni (223 milioni). Le tre strade procedono in parallelo, ciascuna con una procedura specifica (o più, in base alla natura dei finanziamenti). La prima considera i “27 super-obiettivi” sullo Stato di diritto stabiliti il 30 novembre dello scorso anno dalla Commissione per sbloccare i fondi del Pnnr dell’Ungheria, ovvero 5,8 miliardi in sovvenzioni (a cui si aggiungono i 4,6 miliardi del capitolo RePowerEu, di cui oltre 900 milioni in pre-finanziamenti automatici e non vincolati sono già stati sborsati). Quanto ci si attende da Budapest è che venga rafforzata l’indipendenza giudiziaria, in modo che le decisioni dei giudici siano “protette da interferenze politiche esterne”.
Il secondo capitolo – decisamente il più complesso – è quello che riguarda i fondi della politica di coesione, che per l’Ungheria valgono complessivamente 22,6 miliardi di euro come finanziamenti dal budget comunitario. Di questi fondi 6,3 miliardi sono stati congelati attraverso il meccanismo di condizionalità sullo Stato di diritto per decisione del Consiglio nel dicembre 2022 (e che rimangono congelati). Si tratta di una procedura a sé stante che riguarda il 55 per cento dei fondi destinati all’Ungheria da tre programmi operativi finanziati dal Fondo europeo di sviluppo regionale (Fesr), dal Fondo di coesione, dal Fondo per la transizione giusta (Jtf) e dal Fondo sociale europeo Plus (Fse+): ‘Ambiente ed efficienza energetica Plus’, ‘Trasporto integrato Plus’, e ‘Sviluppo territoriale e degli insediamenti Plus’.
Dei restanti 16,3 miliardi, 12,9 miliardi erano vincolati solo all’implementazione delle riforme giudiziarie (senza ulteriori criteri) e si tratta di quelli che sono stati in parte sbloccati da Bruxelles dopo la richiesta di revisione. I restanti 3,4 miliardi sono bloccati per il mancato rispetto di altre condizioni abilitanti orizzontali – ovvero le condizioni necessarie per quanto riguarda la Carta dei diritti fondamentali dell’Ue – in tre controversie tra la Commissione e l’Ungheria: la legge ‘sulla protezione dell’infanzia’ (la legge anti-Lgbtq+), quella sull’indipendenza accademica e quella sul trattamento riservato alle persone richiedenti asilo. La prima questione è responsabile per lo stallo del 3 per cento del budget della politica di coesione (cioè 678 milioni), la secondo del 9 per cento (oltre 2 miliardi) e la terza di un ulteriore 3 per cento (altri 678 milioni). Per sbloccare questi fondi non è sufficiente mettere fine alle questioni legate all’indipendenza del sistema giudiziario (anche se rimane per tutti questi un pre-requisito), dal momento in cui devono essere risolte anche le pendenze riguardanti le altre condizioni abilitanti orizzontali.
C’è infine da considerare l’ultima questione, quella dei 179,9 milioni di euro di tre programmi dei Fondi per gli Affari interni. Come appreso da Eunews a febbraio 2023 da fonti interne all’esecutivo comunitario – e poi confermato di nuovo a metà novembre – si tratta di 54,92 milioni dal Fondo Asilo, migrazione e integrazione (Amif), 87,2 dallo Strumento per la gestione delle frontiere e i visti (Bmvi) e 37,8 dal Fondo sicurezza interna (Isf). A un mese dallo scongelamento dei 10,2 miliardi complessivi a Budapest, le stesse fonti confermano che sono stati sbloccati tutti i fondi Isf e Bmvi (vincolati esclusivamente alle questioni giudiziarie secondo le decisioni di implementazione), ma anche quelli Amif legati alla migrazione legale e all’integrazione per un valore di 17,68 milioni, mentre in questo capitolo rimangono bloccati solo quelli legati al non-respingimento (rimpatri) all’accesso all’asilo, vale a dire 37,24 milioni. Complessivamente dei Fondi per gli Affari interni sono stati scongelati 142,68 milioni.