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Home » Agricoltura » Grande distribuzione, grandi imprese, clima: i nodi dell’agricoltura UE secondo l’europarlamento

Grande distribuzione, grandi imprese, clima: i nodi dell’agricoltura UE secondo l’europarlamento

Con i relativi 'distinguo' popolari, socialisti, liberali e verdi difendono il Green Deal e accendono i riflettori su altre criticità. La Sinistra radicale critica il libero scambio, ECR e ID censurano von der Leyen

Emanuele Bonini</a> <a class="social twitter" href="https://twitter.com/emanuelebonini" target="_blank">emanuelebonini</a> di Emanuele Bonini emanuelebonini
7 Febbraio 2024
in Agricoltura, Politica
aree rurali Politica agricola comune

dall’inviato a Strasburgo – La Commissione europea non cambia idea, dal Green Deal non si torna indietro. Si può ragionare, tutti insieme, a dei correttivi utili a placare le proteste degli agricoltori e venire incontro alle loro necessità, ma non si torna indietro, e in questo i principali gruppi si confermano alleati preziosi. Il dibattito d’Aula incentrato sull’agricoltura è acceso, e vede un emiciclo diviso tra quanti puntano il dito contro l’agenda sostenibile dell’UE e quanti, invece, mettono sul banco degli imputati un sistema da rivedere per ciò che riguarda filiera, attori, politiche.

A richiamare l’attenzione sull’organizzazione del mercato è Jordi Solé, dei Verdi. “Il problema non è il Green Deal, ma la struttura economica”, sottolinea. Quindi denuncia: “Le ragioni per un reddito insufficiente degli agricoltori sono nella grande distribuzione“. Mentre il suo collega di gruppo, il co-presidente dei Greens, Philippe Lamberts, punta il dito contro l’impostazione della Politica agricola comune. “Gli agricoltori sono merce di scambio. L’80 per cento delle risorse della PAC va ai colossi dell’agricoltura“, il che vuol dire che a trarre i maggiori vantaggi e benefici sono i grandi produttori, a scapito dei piccoli. Storture che vanno corrette, se si vuole dare risposte al settore.

A proposito di risorse, il pentastellato Dino Giarrusso vede nella disparità di trattamento economico la ragione del malcontento e delle proteste. “Ogni regione europea dovrebbe ricevere lo stesso ammontare di soldi“. Quindi chiarisce che il Green Deal non è in discussione: “Dobbiamo proteggere l’ambiente, e farlo insieme agli agricoltori”.

Dai banchi degli altri gruppi invece si punta il dito contro le politiche commerciali con i Paesi terzi. “Firmare accordi di libero scambio significa avere una concorrenza basata su regole diverse”, lamenta Manon Aubry, co-presidente del gruppo de La Sinistra, la quale dice ‘basta’ a questo approccio dell’UE considerato come troppo aperto. “Siamo contrari a tutti questi accordi di libero scambio“, visti come la ragione delle difficoltà degli operatori del settore. Un concetto ribadito anche da Luke Flanagan (la Sinistra), che critica il fatto che “ogni accordo commerciale che ha colpito i nostri agricoltori è stato sostenuto con entusiasmo” a livello comunitario.

I liberali invece spostano il piano del dibattito, e si schierano con la Commissione. “Se si vuole incolpare la transizione verde e gli accordi di libero scambio è inutile”, scandisce Pascal Canfin, di Renew Europe. “Il problema è il cambiamento climatico“. E’ questo il sostegno che riceve Maros Sefcovic, il commissario per il Green Deal apparso in Aula a nome del collegio. “Il nostro sistema agricolo deve rispondere alle sfide del futuro”, rappresentate da “tutela della biodiversità e difesa del suolo”. Il Green Deal, dunque, non si tocca. “Dobbiamo raggiungere i nostri obiettivi di sostenibilità” anche in agricoltura, e in tal senso il dialogo strategico con tutti gli operatori è un fattore chiave.

“Il dialogo strategico è positivo, ma l’approccio dall’alto no“, taglia corto la liberale Ulrike Muller, disposta comunque a lavorare per una soluzione condivisa. Lo sono anche i socialisti, che attraverso la presidente del gruppo, Iratxe Garcia Perez, suggeriscono di lavorare alla “semplificazione normativa”. Quindi il Perez traccia un solco sia con la destra, sia con il gruppo de La Sinistra: “Non si possono sacrificare gli accordi commerciali“.

I popolari (PPE) sposano la linea di socialisti e liberali, nel chiedere soluzioni condivisi e meno oneri amministrativi. Sigfried Muresan, vicepresidente del gruppo, riassume la linea: “Dobbiamo modernizzare la nostra agricoltura assieme agli agricoltori. Siamo pronti a lavorare insieme. Servono meno burocrazia e investimenti nelle aree rurali”. Un punto, quest’ultimo, su cui insiste Herbert Dorfmann, che richiama ad una maggiore attenzione per aree montuose. Mentre il capogruppo Manfred Weber, fa quadrato attorno al team von der Leyen per come può. “Il PPE è a favore della protezione ambientale, ma non vogliamo un dibattito ideologico“. Ben venga quindi il dibattito strategico con il settore e i suoi operatori, ma “deve essere basato sui fatti”.

La destra in Parlamento invece insorge. Nicola Procaccioni (Fdi/ECR) punta il dito contro le aperture della Commissione europea alla carne sintetica, a nuovi cibi quali insetti e farina di grillo, che “vanno contro la dieta mediterranea” e il made in Italy. Per Beata Szylo (ECR), invece, le colpe sono tutte di questa Commissione, che pure la delegazione polacca dei conservatori ha sostenuto all’inizio del mandato. “Gli agricoltori protestano contro Ursula von der Leyen e Frans Timmermans”, commissario responsabile per il Green Deal fino all’estate scorsa.

I sovranisti invece mettono sul banco degli imputati l’agenda sostenibile a dodici stelle. “La politica green di Von der Leyen e Timmermans è stata una sciagura che ora abbiamo l’obbligo di correggere e di modificare“, sostiene Marco Zanni (Lega/ID), convinto che “le proteste sono risposta ad anni di politiche fallimentari di commissione Von der Leyen”. Ma dal dibattito d’Aula emerge che i principali gruppi – PPE, S&D, RE, Verdi – questo Green Deal non vogliono abbandonarlo.

Tags: agricolturacommerciogreen dealparlamento europeosessione plenariasostenibilitàUe

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