Bruxelles – Gli attori della filiera agroalimentare mettono in fila le questioni più urgenti che hanno portato alle dure proteste degli agricoltori in particolare a Bruxelles (per due volte in meno di un mese). E non possono essere solo le politiche ambientali dell’Unione Europea sotto i riflettori, ma anche altri fattori di lunga data. “Il problema degli agricoltori non è iniziato con il Green Deal, ma oltre 10 anni fa con una serie di politiche sbagliate sulla giusta retribuzione per quello che fanno e producono tutti i giorni”, ha avvertito il presidente della sezione Agricoltura, sviluppo rurale e ambiente (Nat) del Comitato economico e sociale europeo (Cese), Peter Schmidt, all’evento Nuove coordinate per la sostenibilità dell’agricoltura Ue.
Organizzato oggi (5 marzo) a Bruxelles da Eunews e Gea – Green Economy Agency – entrambe parte del gruppo Withub – l’evento si è focalizzato nel suo secondo panel dal titolo ‘Il contributo della filiera agroalimentare a un sano stile di vita europeo’ proprio sulle cause all’origine del malcontento del settore agroalimentare. “Non si parla mai degli interessi all’interno della catena di approvvigionamento“, ha messo in luce Schmidt, ribadendo che “la narrativa secondo cui ‘non ci sono abbastanza soldi’ è decisamente sbagliata”. Il Cese è al fianco degli agricoltori ed è proprio per questo motivo che “dobbiamo considerare quanto ottengono le grandi multinazionali in termini di profitti sul fatturato, tra il 16 e il 18 per cento”, ha continuato il presidente della sezione Nat. Sulla stessa linea l’eurodeputata Maria Angela Danzì (Movimento 5 Stelle), membro della commissione per l’Ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare (Envi): “Ciò che il consumatore paga al supermercato è all’80 per cento il costo della filiera che viene dopo l’agricoltore“.
L’eurodeputata ha ricordato che “servono politiche agricole che incentivino i piccoli agricoltori, faremmo di più l’interesse nazionale se quello che spendono in termini di energie, materiali e sacrificio fosse retribuito in modo adeguato”. Tuttavia, “non ho visto una strenua lotta in Parlamento Europeo su questo, così come fatto sulla difesa degli imballaggi“, è stato l’affondo di Danzì a proposito dell’esito del trilogo di ieri sera (4 marzo) tra i co-legislatori del Parlamento e del Consiglio dell’Ue sul Regolamento packaging. Di avviso opposto l’amministratore delegato di Filiera Italia e presidente di Eat Europe, Luigi Scordamaglia: “In trilogo si è cercato di recuperare qualcosa, ma non si è tornati alla posizione del Parlamento Ue che avvantaggiava quei Paesi che avevano investito nel riciclo”, mentre viene definito “inaccettabile” il fatto che la Commissione Ue abbia inserito “una riserva sul Regolamento, perché il Parlamento e il Consiglio hanno recepito le nostre richieste di inserire la clausola specchio”, ovvero che “tutti i materiali che vengono considerati inquinanti in Europa non possono esser importati da Paesi terzi”.
Scordamaglia ha concordato sul fatto che “serve una più equa ripartizione del valore nella filiera agroalimentare, tutelando la produzione agricola”, ma ha anche sottolineato che “se smantelliamo la produzione sull’alimentare e sulla manifattura con un ambientalismo interpretato in modo sbagliato, l’unica possibilità sarà importare da Paesi terzi che inquinano di più”. Ad animare il contraddittorio è stata l’eurodeputata in quota Movimento 5 Stelle, che ha ricordato come “l’approccio One Health ci può consentire di non fare politiche schizofreniche per tutelare la salute degli ecosistemi, delle persone e degli animali”, ma che negli ultimi mesi “il discorso sulle politiche della Commissione è stato condizionato da interessi personali, che le hanno definite ‘mera ideologia di stampo ambientalista'”. Anche il coordinatore della coalizione #CambiamoAgricoltura, Franco Ferroni, ha attaccato quello che definisce “negazionismo agricolo“, che ha “responsabilità sul cambiamento climatico e sulla perdita di biodiversità”, dal momento in cui “la stretta connessione tra l’agricoltura e il benessere degli ecosistemi non trova la stessa attenzione da parte delle associazioni degli agricoltori”.
Nel suo intervento Ferroni ha chiesto di “riaprire il dialogo e il confronto”, perché “è stato creato un clima volutamente di contrapposizione tra agricoltura e ambiente che aveva come obiettivo quello di demolire la strategia del Green Deal“. È per questo motivo che l’organizzazione che riunisce le organizzazioni a sostegno della riforma della Politica agricola comune (Pac) considera in modo “positivo” l’approvazione della legge sul ripristino sulla natura. Non è invece d’accordo l’amministratore delegato di Filiera Italia Scordamaglia: “Ci sono 500 milioni di consumatori europei che devono consumare, e non tutti con la stessa capacità di spesa”. Questo significa che “o consumano quello che c’è in Europa o quello che viene prodotto nel Mercosur disboscando“. Scordamaglia ha poi sottolineato che “abbiamo contrastato il fatto che, nel momento in cui il mondo affronta la più grave crisi di sicurezza alimentare, qualcuno voleva imporre di togliere il 10 per cento dei terreni all’agricoltura per il ritorno delle torbiere”.