Roma – Riportare al centro il ruolo del dipendente pubblico, passando anche attraverso le esperienze degli altri Paesi. Ma anche ascoltare le voci europee per capire ciò che manca alla PA italiana. A questo è servito il confronto tra le diverse esperienze delle amministrazioni pubbliche europee che, insieme all’Italia, hanno composto la tavola rotonda del progetto PACE – Public Administration Cooperation Exchange.
Un “erasmus” delle PA che ha fatto emergere più ombre che luci sul sistema pubblico italiano, tra personale in fuga, deboli prospettive di carriera e demonizzazione del ruolo del dipendente pubblico. A restituire una fotografia puntuale di quello che oggi rappresenta il complesso universo della PA italiana e delle grandi sfide del futuro, Marco Carlomagno, segretario di FLP – Federazione Lavoratori Pubblici e del Pubblico Impiego.
La FLP ha partecipato al progetto PACE; ospitando a Roma alcuni funzionari della Pubblica Amministrazione degli altri Paesi: cosa è emerso nel confronto tra l’Italia e questi Paesi? La PA europea viaggia alla stessa velocità o ci sono velocità diverse?
È emersa la fragilità del settore italiano. Mentre nelle altre PA europee esiste il diritto alla carriera, la valorizzazione e l’importanza strategica dei servizi pubblici che vanno offerti nell’interesse dei cittadini, per quanto riguarda l’Italia è, invece, soprattutto emersa la carenza di personale qualificato. Facciamo un esempio: la Francia ha oltre 6 milioni di dipendenti pubblici, mentre noi abbiamo meno di 2 milioni e 800 mila persone stabilizzate e circa 400 mila precari. Ma non è solo questo. Siamo agli ultimi posti per la digitalizzazione e questo ha conseguenze dirette anche sull’economia. Una recente ricerca Microsoft – House Ambrosetti ha evidenziato che l’applicazione dell’AI al sistema economico italiano potrebbe aumentare del 18.2%, circa 312 miliardi, il PIL del nostro Paese. Solo nella PA potremmo avere un incremento del PIL di 94 miliardi proveniente dalla digitalizzazione e dall’applicazione dell’AI. Invece, abbiamo difficoltà a investire. E ancora: non riusciamo ad attrarre né a mantenere personale per assenza di prospettive di carriera. Non c’è engagement e il settore perde di attrattiva. Anche sulle poche assunzioni che riusciamo ad effettuare si registra comunque un tasso di oltre il 6% di giovani che, dopo pochi mesi, abbandona la PA. Il problema è che si tratta di personale qualificato come ingegneri, tecnici, informatici, esperti di innovazione. Non riusciamo proprio a concepire un diverso modello organizzativo al passo con i tempi e che non rappresenti un freno al cambiamento dell’organizzazione del lavoro.
C’è un Paese europeo, magari tra quelli che hanno partecipato al progetto PACE, a cui la PA italiana dovrebbe ispirarsi?
Possiamo prendere ispirazione da molti Paesi in UE. Partendo dalla Francia, che è sempre stato un Paese fortemente basato sulla centralità del lavoro pubblico distinto in tre macro settori, amministrazione centrale, amministrazione territoriale e amministrazione sanitaria, e che ha dei modelli retributivi e un ordinamento professionale che è proprio quello del “civil servant”, ovvero il dipendente pubblico al servizio della nazione. Anche il Portogallo ha fatto una profonda riforma della PA con adeguati e specifici investimenti, risorse che sono state messe a disposizione, soprattutto, a partire dai fondi europei, perché l’UE propone e incentiva l’evoluzione delle PA, fondamentale per mantenere il passo tra i vari Paesi e con gli altri Paesi extra europei. Sugli investimenti, con la digitalizzazione e la professionalizzazione del personale, la Grecia è riuscita a superare la profonda crisi del 2010 con la quale ha rischiato di andare in default. Nella PA italiana, invece, come ha rilevato la Corte dei Conti, mancano ben 65 mila personalità tecniche solo negli enti locali e abbiamo un’età media spaventosamente alta. Nelle amministrazioni centrali superiamo i 58 anni e questo, oltre ad essere il segno di un mancato ricambio generazionale, ha come conseguenza quella di avere personale non formato e che non riesce ad adeguarsi all’evoluzione digitale.
Età media alta, scatti di carriera irrisori, digitalizzazione al palo e smart working un miraggio: la PA italiana non gode di ottima salute. Cosa dovrebbe fare la politica per migliorarla?
Rimettere al centro dell’azione politica le persone, che vuol dire attuare una profonda semplificazione della normativa e dei processi. Ma, soprattutto, andrebbe portata avanti una profonda ristrutturazione della PA a partire dal garantire investimenti per una adeguata formazione, e un moderno riordino del sistema delle carriere. Abbiamo bisogno di un profondo cambio generazionale anche ai vertici delle PA. Un altro nodi su cui la politica dovrebbe agire è quello dello smart working. Noi abbiamo fatto una grande battaglia in questo senso. Negli altri Paesi, c’è questa tendenza verso l’innovazione tecnologica e ci si è posti il problema che anche il mondo del lavoro stia cambiando. In Francia, ad esempio si sta investendo tanto su modelli organizzativi diversi, basati sui risultati, e sulla valorizzazione di quel ruolo pubblico. In Italia, invece, no e questo si ripercuote sull’occupazione: il 14% dei laureati italiani emigra, un dato estremamente preoccupante, perché anche noi perdiamo le nostre migliori menti e generazioni. La PA dovrebbe dare un esempio immediato, acquisire le migliori generazioni, acquisire i giovani che sono i più competenti e che andrebbero inseriti immediatamente in posti di ruolo e di importanza.
Lei ha definito il progetto PACE l’Erasmus della PA e uno strumento utile per un confronto tra Paesi su questa materia. Cosa dovrebbe e potrebbe fare l’UE per far crescere le varie PA a partire proprio dal confronto tra i vari Paesi?
È importante sviluppare la conoscenza delle altre esperienze europee, acquisire nuovi spunti e portarli avanti e, quindi, penso che l’UE debba promuovere e investire in questo senso. Occorrerebbe, cioè, una vera e propria direttiva europea che preveda che i manager, i dirigenti e anche i funzionari, abbiano nel curriculum questo interscambio, al fine di acquisire ulteriori competenze ed esperienze per innovare il sistema di Pubbliche Amministrazioni. La UE, quindi, può sicuramente sviluppare questi progetti con maggiori investimenti e spingere le amministrazioni ad acquisire delle competenze che derivino proprio dalla conoscenza delle altre esperienze europee.