Bruxelles – Una frase dovuta, ma che lascia il dubbio che Elly Schlein in fin dei conti ci creda davvero. “Noi siamo qui per vincere le prossime elezioni europee con il nostro candidato, nella speranza che Nicolas Schmit diventi il prossimo presidente della Commissione europea“, ha dichiarato la segretaria dem in un punto stampa a Bruxelles.
Uno scenario che ad oggi sembra un miraggio: i primi sondaggi in vista delle elezioni di giugno parlano di un Partito Popolare Europeo stabile al primo posto, con oltre una ventina di seggi in più del gruppo dei socialdemocratici. E la ricandidatura di Ursula von der Leyen alla guida dell’esecutivo Ue, nonostante al congresso dei Popolari non sia certo stato un plebiscito nei suoi confronti, a Bruxelles appare per distacco come la più solida.
Schlein, all’Eurocamera per una serie di incontri con i leader della famiglia politica del progressismo europeo in vista del vertice dei capi di stato e di governo dei 27 previsto oggi (21 marzo) e domani, preferisce passare la patata bollente al Ppe: “Sono molto preoccupata dello scivolamento a destra, chiedo io ai popolari se intendono tradire le loro stesse radici e cultura politica, continuando a rincorrere l’estrema destra su questo terreno molto pericoloso per l’Europa”, ha attaccato.
Gestione delle migrazioni e Green Deal: sono questi i due grandi temi su cui il centro-destra europeo ha tolto la maschera e ora fa l’occhiolino verso i gruppi più conservatori. “La destra soffia sulla paura di cambiamenti che comunque non può fermare”, rincara la dose la segretaria del Pd. Sulla transizione verde, Schlein parla di “mettere le risorse per accompagnare gli agricoltori affaticati dalla crisi del settore, prendere per mano le piccole e medie imprese, le lavoratrici e lavoratori spaventati da questi cambiamenti”. Poi assesta il colpo: “Non è negandoli come stanno facendo la destra e i popolari che risolviamo i problemi di quelle imprese e di quegli agricoltori”.
E poi la questione migratoria, a partire dalla strettissima attualità del Memorandum da 7,4 miliardi di euro firmato da von der Leyen, ancora una volta accompagnata da Giorgia Meloni, con l’Egitto di Al-Sisi. Un altro esempio di “accordi con governi che non rispettano i diritti umani per l’ossessione securitaria di fermare le partenze“, l’ha definito la leader dem, tutto quanto di più lontano dai “valori di solidarietà europea” su cui si fonda l’Unione. A Meloni l’accusa di “aver rinunciato a lottare per far passare il principio che chi arriva in Italia arriva in Europa“, di aver archiviato il dibattito sulle “norme ingiuste” di Dublino e sui movimenti secondari: “Non è una conquista come lei (Meloni, ndr) la racconta, è una resa, perché è succube dei suoi alleati nazionalisti come Orban”.
Incalzata dalla stampa, Schlein lancia un altro sasso sulla riforma del patto di stabilità. Perché nell’apparente incoerenza tra l’annunciata opposizione del Pd al testo e l’endorsement del suo uomo forte a Bruxelles, il commissario Ue all’economia, Paolo Gentiloni, la chiave è ancora una volta “un governo Meloni completamente assente dal negoziato”, che ha passivamente “preso atto di scelte fatte da altri governi Ue che riteniamo dannose per il nostro Paese”. La leader dell’opposizione ha sottolineato che il Pd “ha sempre difeso la proposta della Commissione portata avanti da Gentiloni”, che avrebbe garantito “la giusta flessibilità” secondo le peculiarità dei Paesi. Ma è nei negoziati tra gli Stati membri che “sono rientrati parametri rigidi quantitativi sul deficit e sul debito”, che riportano in sostanza il patto di stabilità “al periodo pre-covid”.
L’ultima freccia all’arco di Schlein è un mezzo autogol: la leader spinge il Pse e il suo spitzenkandidat, l’attuale commissario Ue al Lavoro, Nicolas Schmit, e rivendica la proposta della direttiva “per dire no agli stage gratuiti”, una battaglia su cui i socialdemocratici insistono da tempo al Parlamento europeo. Ma in realtà, la proposta presentata da Schmit è ben lontana da quanto chiesto dell’Eurocamera e non prevede retribuzioni obbligatorie, si limita a promuovere stage “di qualità” e a raccomandare “una retribuzione equa per i tirocinanti”. Lasciando ampio margine agli Stati membri e spiegando che altrimenti alcune aziende potrebbero utilizzare i contratti di stage (comunque più bassi) rispetto a quelli di lavoro regolati dalle leggi nazionali o dalla contrattazione sindacale.