Bruxelles – “C’è una maggioranza anche senza Giorgia Meloni“, sostiene il primo ministro della Polonia, Donald Tusk. Ed è sicuramente vero al tavolo dei capi di Stato e di governo dei 27 Paesi membri Ue, che dovranno prendere la settimana prossima la decisione definitiva sulle nomine Ue per le cariche apicali delle istituzioni dell’Unione. Ma se al Consiglio Europeo la premier italiana non ha quasi margine di manovra sulle proposte dei nomi, è fra poche settimane (sempre che una decisione arrivi davvero al vertice del 27-28 giugno) che il suo partito Fratelli d’Italia può tentare di diventare decisivo al voto in Parlamento Europeo per supportare la prossima presidenza della Commissione Ue.
La dimostrazione che per Meloni la partita delle nomine Ue si gioca per forza di cose su più livelli e su più fasi – alcune da comparsa e altre potenzialmente da protagonista – si è avuta nel corso del vertice informale dei Ventisette di ieri sera (17 giugno), il primo vero confronto tra i leader Ue sul pacchetto ormai pressoché consolidato sui quattro nomi per quattro cariche di vertice delle istituzioni dell’Unione: Ursula von der Leyen e Roberta Metsola per la conferma rispettivamente alla Commissione e al Parlamento, l’ex-premier portoghese, António Costa, al Consiglio Europeo e la premier estone, Kaja Kallas, come alta rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza. Come messo in chiaro dal presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, l’obiettivo della cena di ieri non era quello di arrivare già a una decisione (in termini giuridici non si sarebbe nemmeno potuto) ma piuttosto di “preparare il terreno” per il Consiglio Europeo della settimana prossima e garantire che l’istituzione che presiede possa garantire anche in futuro “l’unità dell’Unione Europea”.
Per la premier italiana la possibilità di influire su questo campo era pressoché nulla, dal momento in cui i giochi politici si sono impostati tra i premier dei tre partiti europei su cui continuerà a fondarsi la maggioranza al Parlamento Europeo, ovvero popolari, socialisti e liberali. Tanto che addirittura il punto di maggiore instabilità è arrivato dal Partito Popolare Europeo (Ppe) – quello che si è più rafforzato alle ultime elezioni europee – che ha proposto di applicare la staffetta di due anni e mezzo anche alla presidenza del Consiglio Europeo, proprio come accade al Parlamento Ue. Tutti i nomi del pacchetto derivano da un confronto tra le tre famiglie politiche europee e per Meloni, presidente del Partito dei Conservatori e Riformisti Europei (Ecr), non c’è stata possibilità di inserirsi. Se la premier italiana ha quantomeno evitato – al momento – polemiche, lo stesso non può dirsi dell’omologo ungherese, Viktor Orbán (che vorrebbe sedersi tra i conservatori europei): “La volontà dei cittadini europei è stata ignorata e il Ppe, invece di ascoltare gli elettori, alla fine si è alleato con i socialisti e i liberali per dividersi i posti di comando dell’Ue”, ha attaccato al termine del vertice informale.
Meloni, per quanto contrariata di non poter rivestire quel ruolo-chiave che aveva cercato di ritagliarsi alla vigilia delle elezioni soprattutto per la nomina della presidenza della Commissione, ha evitato polemiche per un motivo: perché la sua vera partita si giocherà nell’emiciclo del Parlamento Europeo. Quando i 720 eurodeputati dovranno votare per supportare la nuova presidenza della Commissione Ue – se la decisione dei Ventisette arrivasse la prossima settimana, si potrà programmare già per la sessione inaugurale del 16-19 luglio – la maggioranza composta da popolari, socialdemocratici e liberali conterà su 406 seggi (con 89 tra nuovi membri e non-iscritti che non hanno ancora una casa politica all’Eurocamera). La soglia minima è 361, ma il rischio di franchi tiratori durante lo scrutinio segreto – anche in caso di bis di von der Leyen – potrebbe spingere i popolari a guardare ai 24 eurodeputati di Fratelli d’Italia per un appoggio in sede di voto, come fecero gli ultraconservatori polacchi di Diritto e Giustizia (PiS) nel 2019 la prima volta che la politica tedesca si presentò alla plenaria di Strasburgo. È qui che Meloni potrebbe far pesare il suo ruolo nella partita delle nomine Ue, rivendicando poi un portafoglio importante nel prossimo esecutivo dell’Unione se non una vicepresidenza esecutiva. Lo scenario è apertissimo, considerata anche la porta sempre più chiusa dei popolari europei ai 52 eurodeputati Verdi che hanno aperto a entrare in maggioranza.
Il pacchetto di nomine Ue tra Meloni e gli altri 26 leader
I popolari europei hanno già confermato che, dopo la convincente prova elettorale dei partiti nazionali affiliati al Ppe, si aspettano di ottenere sia la presidenza della Commissione sia quella del Parlamento, in linea di perfetta continuità con la fine della nona legislatura. Questo vale anche per quanto riguarda i nomi, che sono rispettivamente quello della tedesca von der Leyen e della maltese Metsola. Per quanto riguarda la prima, non sembrano al momento esserci alternative credibili per la leadership dell’esecutivo dell’Unione, anche se von der Leyen deve guardarsi dall’incertezza politica che regna in diverse capitali europee. Per quanto riguarda la presidenza del Parlamento Europeo il nome forte è sempre quello di Metsola, che guida l’istituzione Ue dal gennaio 2022, e la probabile elezione dovrebbe arrivare alla sessione plenaria inaugurale della decima legislatura tra il 16 e il 19 luglio: per quanto riguarda la staffetta tra popolari e socialdemocratici alla presidenza del Parlamento Ue, i popolari già stanno iniziando a ventilare di avere poco interesse a dividersi la carica nei prossimi cinque anni di legislatura.
I socialisti europei stanno puntando tutte le carte sulla prossima presidenza del Consiglio Europeo, dopo essersi riconfermato come seconda forza all’Eurocamera e limitando il rischio di emorragia di voti. I socialisti europei rimangono il partner imprescindibile per i popolari nella maggioranza centrista al Parlamento Ue e per questo motivo, considerato il parallelo crollo dei liberali, ora puntano a qualcosa di più dell’alto rappresentante Ue (come negli ultimi due mandati). Il chiaro favorito è l’ex-premier portoghese Costa, considerato che nelle altre capitali non viene considerata un problema la bufera dell’inchiesta di presunta corruzione che lo ha costretto alle dimissioni nel novembre 2023, pur non riguardandolo personalmente. L’incognita maggiore è sulla proposta dei popolari per la staffetta dopo due anni e mezzo, che rischia di seminare zizzania nei rapporti tra le due famiglie politiche.
E infine c’è l’ultima carica in ballo dopo le elezioni europee, che nella logica di spartizione dei vertici delle istituzioni Ue tra partiti è rivendicata dai liberali. In pole position per il posto di alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza c’è l’attuale premier estone Kallas, che dal 24 febbraio 2022 si è ritagliata il ruolo di irreprensibile leader al fianco dell’Ucraina invasa dalla Russia, tra i più decisi al tavolo dei 27 leader Ue. Proprio questa carta potrebbe valere alla premier estone la promozione alla guida della politica estera dell’Unione, come dichiarazione di un sostegno a Kiev che dopo oltre due anni non è destinato a venire meno da Bruxelles.