Roma – Qualche polemica sul metodo scelto dai colleghi premier che rappresentano i partiti della nascente maggioranza in Parlamento per le nomine da proporre al Consiglio europeo, la rivendicazione per l’Italia di un ruolo di peso nel prossimo esecutivo comunitario, il ribadire le critiche ad un’Unione europea che vede lontana dai cittadini e troppo burocratica, ma, in sostanza Giorgia Meloni non sembra volersi mettere di traverso sui “top jobs” europei e promette invece battaglia sulle politiche che l’Unione dovrà disegnare, a livello di governi e a livello di Parlamento.
Rimettere mano al Green Deal per “proteggere la natura con l’uomo dentro”, alla direttiva sulle case green che ha ancora “obiettivi troppo ravvicinati e onerosi”. Tutelare gli agricoltori “colpiti da provvedimenti furiosamente ideologici”, difendere le imprese dalla concorrenza sleale. Semplificare, soprattutto. Tanto da avanzare la proposta di un commissario alla Sburocratizzazione “per mostrare un cambio di passo”. Sono le priorità del governo Meloni in Europa.
Emergeranno nel primo Consiglio della nuova legislatura parlamentare comunitaria (27-28 giugno), che prenderà il via ufficialmente il 16 luglio. La definizione dei posti di vertice è sempre più vicina e Roma, esclusa per ora dalle negoziazioni, non intende restare in disparte, perché i cittadini “si sono espressi”, ricorda la premier nell’informativa alla Camera. L’obiettivo è lavorare per un commissario di peso “che ci spetta”, rivendica.
La denuncia è chiara: non saranno accettate le “logiche dei caminetti” nelle quale “alcuni pretendono di decidere per tutti”, scavalcando il consenso. No a qualunque “conventio ad excludendum in salsa europea”, avverte la leader dei Conservatori.
Meloni evidenzia il dato dell’astensionismo, che rappresenta plasticamente una disaffezione in crescita. In Italia, per la prima volta, la partecipazione è scivolata sotto il 50 per cento al 48,3 per cento degli aventi diritto. Segno, a suo dire, che i cittadini percepiscono Bruxelles come “troppo invasiva”, come un’Unione che “pretende di imporre cosa mangiare, quale auto guidare, in che modo ristrutturare la propria casa, quanta terra coltivare, quale tecnologia sviluppare”, osserva la premier.
Dunque, i cittadini “hanno detto chiaramente qual è il modello che preferiscono tra quello portato avanti fin qui e quello che proponiamo”, rivendica.
Un dato emerso da questa tornata Meloni considera “indiscutibile”: “La bocciatura delle politiche portate avanti dalle forze di governo in molte delle grandi nazioni europee che sono anche molto spesso le forze che hanno impresso le politiche dell’Unione in questi anni”.
La risposta al “declino” per la presidente del Consiglio sta nella necessità di “privilegiare al gigante burocratico un gigante politico”, ribadisce Meloni. Parla di aumentare l’autonomia strategica, costruendo catene di approvvigionamento sicure e affidabili e diminuire le proprie dipendenze strategiche, renderla l’Europa un luogo “dove sia conveniente investire”, ma allo stesso tempo proteggerla dalla concorrenza sleale dei Paesi extra Ue, perché “il mercato è libero se equo”. E ancora: costruire nuove partnership con l’Africa, sul modello del Piano Mattei, con cui “l’Italia ha fatto scuola” e valorizzare la posizione geografica del nostro Paese, piattaforma naturale nel Mediterraneo, per renderlo “hub di approvvigionamento” e “ponte tra Mediterraneo orientale, Africa ed Europa”.