Bruxelles – Infermiere italiano desideroso di fare del bene in Bulgaria? Maestro di sci in Austria desideroso di andare a insegnare sulle Alpi francesi? O architetto iscritto all’albo del Belgio con l’intenzione di realizzare opere in Svezia? Quale che sia il lavoro degli europei, esercitarlo fuori da casa propria risulta tutt’altro che semplice e scontato. Al contrario, il riconoscimento delle qualifiche professionali resta una vera e propria giungla. La Corte dei conti dell’Ue non usa questa espressione, ma comunque non ci gira troppo attorno: “Far riconoscere le proprie qualifiche professionali continua ad essere problematico“.
Limiti e frammentazioni del mercato unico emergono nella speciale relazione messa a punto dai revisori dei conti di Lussemburgo. Nessuno punta il dito contro nessuno, poiché il problema riguarda tutti. Ovunque, denuncia il rapporto, “le norme Ue volte a facilitare la procedura di riconoscimento non sono applicate in modo coerente”. Il risultato è una serie di regole tutte diverse, tempi lunghi, e costi addebitati al lavoratore per ottenere un riconoscimento peraltro non scontato per via di barriere.
Una di queste è rappresentata dai “troppi documenti” richiesti come lettere di motivazione, traduzioni giurate, oppure una prova di residenza prima che l’interessato si sia effettivamente trasferito nel paese. E poi ci sono costi amministrativi che “differiscono notevolmente” tra uno Stato membro e l’altro o tra un’autorità e l’altra, e per cui “raramente vi è una giustificazione del modo in cui sono calcolate le tariffe addebitate”. Ancora, ci sono Stati membri che “impongono” una misura specifica (formazione aggiuntiva o una prova) senza fornire alcuna giustificazione.
Il problema principale è la base di partenza. Ci sono professioni che sono riconosciute in alcuni Stati membri e non in altri, e questo complica le cose. Il numero di professioni regolamentate varia notevolmente: da 88 in Lituania a 415 in Ungheria. Il risultato finale di tutto questo si traduce in perdita di competitività. Perché, spiega Stef Blok, il membro della Corte dei conti Ue responsabile della relazione, “un infermiere o un meccanico che desidera lavorare in un altro Stato membro può essere scoraggiato dalla procedura di riconoscimento delle proprie qualifiche professionali“.
E’ tempo di cambiare pagina. La direttiva europea per facilitare il riconoscimento delle qualifiche professioni risale al 2005, ma a distanza di quasi vent’anni “vi sono carenze nelle modalità con cui la direttiva è applicata dalle autorità nazionali e dalla Commissione europea, e le informazioni disponibili ai cittadini sono spesso inattendibili”, continua il rapporto. Che dà tempo all’esecutivo comunitario fino al 2025 per “monitorare l’efficacia dell’intero sistema e adottare misure correttive tempestive“. Mentre per modificare la direttiva, si concede tempo fino al 2026 per obbligare a ridurre il termine ultimo entro il quale le autorità competenti devono adottare una decisione motivata a un mese dalla data di presentazione del fascicolo completo da parte del richiedente.