Bruxelles – Da un lato, una linea rossa, ribadita più volte, dai tre gruppi politici che ambiscono a sostenere il von der Leyen-bis a capo della Commissione europea insieme al Partito popolare europeo. Dall’altro, un’ambiguità mai ancora risolta dalla candidata. La rielezione di von der Leyen ruota intorno alla sua apertura o meno al gruppo di estrema destra dei Conservatori e Riformisti europei. Per i socialisti, i liberali e i verdi “inaccettabile”, per buona parte del Ppe legittima. Per von der Leyen, un rebus da sciogliere prima del voto di giovedì 18 luglio.
La leader Ue si è già sottoposta alle domande dei quattro gruppi che potenzialmente le possono garantire i 361 voti necessari per la rielezione. Ieri (9 luglio), dopo l’audizione con la sua famiglia politica, i popolari, ha incontrato il gruppo S&D. Oggi i liberali di Renew e i Greens. Da questi tre sono emerse tre precondizioni comuni: nessun arretramento sul Green Deal e soprattutto nessun accordo con l’estrema destra.
“Il nostro supporto non è un assegno in bianco”, ha avvertito la capogruppo S&D, Iratxe Garcia-Perez. Per i socialisti, le priorità per garantire i propri voti a von der Leyen sono poi la nomina di un commissario per l’edilizia abitativa, l’impegno sui diritti dei lavoratori e uguaglianza di genere. “Abbiamo chiesto certezze sulla attuazione del Green Deal, ha dichiarato Camilla Laureti, eurodeputata del Pd e vicepresidente S&D, secondo cui “la strada degli investimenti comuni è fondamentale per garantirne la piena attuazione”.
Ma soprattutto, “chiusura ad ogni accordo” con Ecr, Patrioti (il gruppo sovranista con Orban, Le Pen e Salvini) ed Europa delle nazioni sovrane (la nuova creatura fondata dagli estremisti tedeschi di Afd). “Cercare i loro voti infatti avrebbe un prezzo sull’integrazione europea che non siamo disposti a pagare“, sottolinea Laureti. Concetto ribadito dalla capogruppo di Renew, Valerie Hayer, che ha definito “inaccettabili” gli accordi con l’estrema destra, e dai copresidenti dei Verdi, Terry Reintke e Bas Eickhout, a margine dell’incontro del gruppo con von der Leyen. “La cosa importante per noi è costruire una maggioranza senza Ecr”, hanno dichiarato, perché la presidente della Commissione europea “non deve avere la pressione di dover dare qualcosa ad Ecr”. Per i Verdi “è questa la questione politica cruciale, perché non vogliamo che le forze di estrema destra influenzino l’agenda dell’Unione europea dei prossimi anni”.
Non sembra esserci alcun dubbio sul cordone sanitario nei confronti dei Patrioti per l’Europa, gruppo in cui sono confluiti diverse delegazioni del defunto Identità e Democrazia (Id), e di Europa delle Nazioni sovrane, in cui l’Afd espulsa da Id la fa da padrona. Von der Leyen non li incontrerà prima del voto. Ma sui Conservatori e Riformisti, il cui partito è guidato da Giorgia Meloni, il discorso cambia. Perché von der Leyen ha già dichiarato più volte che alcune delegazioni del gruppo – tra cui quella di Fratelli d’Italia – corrispondono a suo dire all’identikit necessario per fare parte della maggioranza: “Pro-Europa, pro-Ucraina, pro-Stato di diritto“.
Una distinzione tra Ecr e Id esisteva già, e l’ha ammessa lo stesso Eickhout, leader dei Verdi. “È anche vero che al Parlamento europeo nella legislatura precedente abbiamo lavorato sulle risoluzioni insieme ad Ecr, è sempre stata trattata diversamente rispetto a Id”, ha dichiarato alla stampa. Ma la linea rossa è che non deve esistere alcuna “cooperazione strutturale” con Meloni e i suoi. La palla passa a von der Leyen, che la settimana prossima a Strasburgo incontrerà gli ultimi due gruppi sulla sua lista delle trattative. Lunedì la Sinistra europea, martedì i Conservatori. A cui forse è più vicina per affinità politiche rispetto ai gruppi della maggioranza-Ursula, ma che da soli non le potrebbero garantire la rielezione. Ed a cui è meglio che non faccia promesse.