Roma – “Mi auguro che il prossimo commissario Ue all’Agricoltura sia espressione del Partito popolare europeo”. Non usa giri di parole, ma va dritto al punto il vicepremier e ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, che del Ppe è uno dei maggiorenti: “Vogliamo che la nuova politica agricola, assieme a quella industriale, siano certamente finalizzate al contrasto dei cambiamenti climatici ma allo stesso tempo garantiscano la produzione agricola e la produzione industriale tenendo conto anche della questione sociale”. Per chiarire ancora meglio il senso del suo discorso, il responsabile della Farnesina parla di “scelta pragmatica e corretta per l’ambientalismo”, perché nella sua famiglia politica a Bruxelles non ci sono “né negazionisti climatici, né fondamentalisti alla Greta Thunberg”. Il mix giusto, a suo modo di vedere, affinché la prossima Commissione Ue possa imprimere una svolta sul tema, facendosi forte del fatto che “il maggior numero di commissari sarà dell’area Ppe, quindi sono convinto che ci sarà un cambiamento nelle politiche di contrasto al climate change”.
Ma anche una compensazione al fatto che la commissione Agri (Agricoltura e sviluppo rurale) dell’Eurocamera dovrebbe essere assegnata ai Conservatori di Giorgia Meloni, che nel frattempo non scioglie le riserve su Ursula von der Leyen. Il suo capodelegazione, Nicola Procaccini, gioca sul filo delle parole, negando il sostegno alla spitzenkandidatin dei popolari, ma lasciando comunque una finestra aperta in attesa dell’incontro con il gruppo Ecr, in programma martedì prossimo. La premier si limita a rispondere che proverà a ottenere il massimo per l’Italia. Stesso leitmotiv al quale si accoda pure Tajani, che però un messaggio in più, tra le righe, lo lancia. Quando, a margine del World farmers market coalition, organizzato a Roma da Coldiretti, gli viene fatto notare che ormai è tempo per l’Italia di indicare un proprio nome per la nuova Commissione, risponde senza esitazioni: “Prima dobbiamo avere un presidente della Commissione europea eletto, poi si fanno i nomi dei commissari, non viceversa”.
Una formula, quella usata dal vicepresidente del Consiglio italiano, che può richiamare alla mente il vecchio adagio ‘pagare moneta, vedere cammello’. Ad ogni modo, per non incappare in equivoci, Tajani allarga il ragionamento: “Una volta che il presidente della Commissione sarà eletto, parlerà con i vari governi, la presidente del Consiglio parlerà con von der Leyen, poi porterà in Cdm la proposta del nome”. Da qui in avanti il discorso torna sui binari ormai noti: “Abbiamo chiesto un portafoglio di peso e un vicepresidente, vediamo come procedono le trattative, ma siamo un Paese fondatore, abbiamo sempre avuto una vicepresidenza (lo stesso Tajani lo fu, ndr). Prima, però, l’elezione – rimarca -, poi ci sarà un’azione del nostro Paese per portare a casa il miglior risultato possibile e far contare di più l’Italia, facendo in modo di dare il nostro contributo per i prossimi cinque anni”.
I nomi che circolano dalle parti dei palazzi della politica romana, comunque, sono sempre gli stessi. In pole position l’attuale ministro degli Affari europei e il Pnrr, Raffaele Fitto, a seguire, ma con largo distacco, il responsabile del Mef, Giancarlo Giorgetti, e il ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida. Tajani, invece, conferma di essere fuori da questa partita: “Assolutamente fuori”.
Prima di congedarsi, però, il ministro degli Esteri tira fuori dal cassetto dei ricordi un aneddoto del recente passato, che forse qualche suo alleato politico in Italia avrebbe preferito non uscisse mai fuori. Parlando della candidatura di Ursula von der Leyen, infatti, rivela che cinque anni fa non fu “un compromesso al ribasso, ma impedì che Franz Timmermans diventasse presidente della Commissione europea” Perché nel 2019 “il governo Lega–M5S si era convinto di votarlo, ma io chiamai Salvini per avvisarlo dei rischi e devo dire che lui si impegnò. Poi io, insieme a una serie di presidenti del Consiglio eletti nell’area Ppe, bloccammo la sua candidatura e la spuntò Ursula. Quindi un po’ è anche merito mio se Timmermans non ce l’ha fatta: ha fatto tanti guai da commissario Ue, immaginiamoci quello che avrebbe potuto fare da presidente”.