Bruxelles – Ora ci sta anche l’Irlanda. La Commissione Europea ha annunciato oggi (31 luglio) di aver accolto con favore la decisione di Dublino di aderire al Patto migrazione e asilo, così come notificato lo scorso 27 giugno a Bruxelles. “L’Irlanda dimostra solidarietà agli Stati membri sotto pressione e può contare sul sostegno Ue nel momento del bisogno“, è il commento della commissaria per gli Affari interni, Ylva Johansson, definendo l’adesione “un voto di fiducia nel Patto migrazione e asilo, nella nostra capacità di gestire congiuntamente la migrazione”.
Con l’adozione delle decisioni da parte della Commissione Ue, dal giugno 2026 anche per l’Irlanda entreranno pienamente in vigore sette atti legislativi del Patto migrazione e asilo: la direttiva sulle condizioni di accoglienza, il Regolamento sulle qualifiche, il Regolamento sulle procedure di asilo, il Regolamento quadro dell’Unione sul reinsediamento, il Regolamento sulla gestione dell’asilo e della migrazione, il Regolamento Eurodac e il Regolamento sulle crisi e le cause di forza maggiore. “L’Irlanda beneficerà di un ulteriore sostegno operativo, tecnico e finanziario da parte della Commissione e delle agenzie dell’Ue durante il processo di attuazione del Patto“, precisa l’esecutivo Ue, ricordando l’obbligo per Dublino di tradurre in pratica le nuove norme giuridiche, proprio come gli altri 25 Stati membri. Perché, dopo la decisione dell’Irlanda di rinunciare alla clausola di opt-out sugli Affari interni, ora solo la Danimarca si avvale dell’opzione di non-partecipazione alla legislazione Ue in materia di migrazione e asilo.
Dopo l’iter legislativo durato un’intera legislatura e l’entrata in vigore l’11 giugno, il Patto migrazione e asilo è entrato nella sua fase di attuazione, che durerà esattamente due anni prima della piena entrata in vigore il 12 giugno 2026. Il piano di attuazione comune presentato dalla Commissione Ue si basa su 10 elementi costitutivi (o ‘blocchi’) interdipendenti, tutti da implementare per permettere il corretto funzionamento di una legislazione complessissima. Il vero lavoro spetta però alle capitali, perché ogni Stato membro deve stabilire un piano di attuazione nazionale entro il 12 dicembre 2024, mentre entro ottobre dovranno essere presentate le bozze, per poter ricevere un sostegno dalla Commissione per tempo. Entro aprile 2025 dovranno essere presentati i piani di emergenza nazionali e il primo luglio 2025 sarà la scadenza per l’istituzione di strutture di coordinamento nazionali e per la nomina del coordinatore nazionale.
La base del Patto migrazione e asilo
La base su cui si imposta il nuovo sistema del Patto migrazione e asilo è il rapporto tra solidarietà e responsabilità nella gestione delle persone migranti tra i Ventisette. Il primo concetto permea il Regolamento per la gestione dell’asilo e della migrazione (Ramm), che non supera in alcun modo il principio cardine del Regolamento di Dublino del 2013, ovvero che il compito di esaminare la richiesta di asilo di una persona che fa ingresso in modo irregolare sul territorio comunitario spetta al primo Stato membro Ue a cui accede. Paesi come Italia, Grecia, Malta, Cipro e Spagna saranno responsabili delle richieste, mentre gli altri Paesi membri che vogliono ‘dublinare’ (cioè estradare) queste persone migranti – inclusi i minori e chi richiede il ricongiungimento con fratelli – dovranno semplicemente inviare una notifica, non più una richiesta di processo reciproco con l’accordo del Paese di primo approdo come accade oggi. Dopo l’entrata in vigore del Regolamento – a 24 mesi dalla pubblicazione in Gazzetta ufficiale dell’Ue – sarà introdotto l’ormai famoso meccanismo di solidarietà obbligatoria per tutti i Ventisette (sulla base di Pil e popolazione), che mette sullo stesso piano tre forme di solidarietà: ricollocamenti di persone migranti, contributi finanziari o supporto a Paesi terzi. I contributi ai Paesi membri possono essere destinati non solo ai sistemi di accoglienza, ma anche al finanziamento di strutture fisse e mobili di confine attraverso lo Strumento di gestione delle frontiere e dei visti (Bmvi) e il Fondo asilo, migrazione e integrazione (Amif). Nessun ricollocamento obbligatorio per le persone migranti sbarcate dopo operazioni di ricerca e soccorso in mare e per chi è sottoposto alla procedura Ramm non è prevista la rappresentanza legale, ma solo consulenza.
Il concetto della responsabilità è legato in particolare al Regolamento sulle procedure di asilo (Apr), che aumenta solo quelle previste per i Paesi di primo ingresso. Si applicherà automaticamente in caso di rischio per questioni di minaccia alla sicurezza – inclusi i minori non accompagnati – di “inganno delle autorità” o se la persona migrante proviene da un Paese con un tasso di riconoscimento inferiore al 20 per cento. Le procedure di frontiera prevederanno una detenzione di fatto, senza esenzioni nemmeno per le famiglie con minori di 12 anni, né una rappresentanza legale, né una sospensione per i ricorsi contro la maggior parte delle decisioni (l’eccezione è per inammissibilità di quelle basate sul concetto di “Paese terzo sicuro” e per minori non accompagnati). Cruciale in questo Regolamento è proprio il concetto di “Paese terzo sicuro”, per cui sono previsti sia un elenco Ue sia elenchi nazionali per giustificare e velocizzare rimpatri rapidi fuori dall’Unione, a meno che non ci siano legami della persona singola con lo Stato in questione che ne escludano la sicurezza. Tra i nuovi obblighi sul piano della responsabilità c’è quello di portare a termine l’esame della domanda di asilo attraverso la procedura di frontiera entro sei mesi (Apr), ma anche l’estensione del periodo di responsabilità della gestione delle domande per 20 mesi e il mantenimento a 12 mesi quello per le operazioni di ricerca e soccorso in mare (Ramm). Fissato a 30 mila persone il tetto massimale annuale per le procedure di frontiera, determinato sulla base di una formula che tiene conto del numero di attraversamenti irregolari delle frontiere e del numero di espulsioni nei tre anni precedenti.
Cosa succede all’arrivo delle persone migranti
Una volta che le persone migranti arriveranno alle frontiere dell’Unione, il Regolamento sullo screening del Patto migrazione e asilo prevederà una procedura di trattenimento di 7 giorni per la divisione tra procedure di regolari (Ramm) o accelerate (Apr) per il trattamento delle loro richieste di asilo. Essendo rimasta la cosiddetta ‘finzione del non ingresso’ – ovvero che chiunque sia sottoposto allo screening in un centro apposito non sarà considerato legalmente nel territorio dello Stato membro e quindi dell’Ue – di fatto le persone migranti saranno detenute, in quanto dovranno rimanere a disposizione delle autorità senza possibilità di entrare sul suolo nazionale. Alcune garanzie prevedono la possibilità per i richiedenti di avere accesso a una copia del modulo di screening e il mantenimento delle “norme pertinenti in materia di trattenimento” stabilite nella direttiva sui rimpatri del 2008 (la revisione contenuta nel Patto migrazione e asilo è l’unico dossier che per certo non andrà in porto). Ma il meccanismo di monitoraggio – che non necessariamente include le Ong, ma può farlo a discrezione degli Stati – non si applica alle attività di sorveglianza delle frontiere (con una normalizzazione della profilazione razziale) e se lo Stato riconosce una minaccia per la sicurezza potrà garantire alle autorità nazionale l’accesso diretto a tutti i dati sulla persona in tutti i database.
Per quanto riguarda le banche dati, secondo il Regolamento Eurodac tutte le persone migranti beneficiarie di protezione temporanea a partire dai 6 anni di età dovranno accettare la raccolta dei loro dati biometrici, anche se per il Regolamento generale sulla protezione dei dati (Gdpr) il trattamento è lecito solo se il minore ha almeno 16 anni. Nell’ampliamento dell’accesso ai dati per le autorità nazionali è stata inclusa anche la raccolta dei dati fotografici dei volti, di fatto dando il via libera alla sorveglianza di massa delle persone migranti in arrivo sul suolo dell’Unione. I segnalatori di sicurezza da inserire nella banca dati Eurodac durante il processo di screening e delle procedure di frontiera prevederanno tutta una serie di nuove categorie – come l’attraversamento irregolare di una frontiera – anche attraverso la revisione del Regolamento di Revisione del sistema di entrata e uscita.
Cosa succede in caso di crisi
Uno dei punti più controversi del Patto migrazione e asilo è il Regolamento per le crisi, la strumentalizzazione e le cause di forza maggiore, che si occupa dei momenti in cui si verifica un “arrivo di massa di persone” eccezionale o inaspettato, anche a seguito di uno sbarco dopo un’operazione di ricerca e soccorso in mare. Di fatto è passata la posizione negoziale del Consiglio, che ha portato all’inserimento della strumentalizzazione (un Regolamento inizialmente a sé stante e su cui il Parlamento non aveva dato l’ok) in quello per le crisi e le cause di forza maggiore, nel caso in cui “un Paese terzo o un attore non statale ostile incoraggia o facilita il movimento di cittadini di Paesi terzi e di apolidi” verso le frontiere esterne Ue “con l’obiettivo di destabilizzare l’Unione o uno Stato membro”, mettendo “a rischio le funzioni essenziali di uno Stato membro”. Le Ong sono escluse da questa definizione, ma nei fatti solo se possono dimostrare che le loro azioni (in mare e non) non sono destinate alla destabilizzazione, con chiari rischi di ripercussioni per la criminalizzazione della solidarietà.
Nemmeno nelle situazioni di crisi sono previsti ricollocamenti obbligatori di persone migranti tra i Paesi membri, ma varranno le stesse tre modalità di solidarietà previste dal Regolamento Ramm (ricollocamenti, contributi finanziari o supporto a Paesi terzi). In questo scenario scattano invece delle deroghe al sistema generale di gestione della migrazione e dell’asilo: la soglia del tasso di riconoscimento per cui le persone possono essere ammesse alle procedure di frontiera (secondo il Regolamento Apr al 20 per cento) si alza al 50 per cento nelle situazioni di causa di forza maggiore, al 60/70 per cento in quelle di crisi e al 100 per cento in quelle di strumentalizzazione. Anche in questo caso dalle procedure di frontiera – la cui durata può essere estesa di ulteriori sei settimane (rispetto ai 9 mesi di Apr) – non sono escluse le famiglie con bambini di età inferiore ai 12 anni.