Bruxelles – La Bulgaria non riesce a trovare da anni una maggioranza per sostenere un governo stabile che faccia uscire il Paese dalle sabbie mobili della crisi politica innescata nella primavera 2021, ma è perfettamente in grado di trovare un’intesa trasversale per far passare una legge che vieta la “propaganda” Lgbtq+ nei confronti dei bambini, proprio come in Ungheria. Mentre Sofia corre verso le settime elezioni anticipate negli ultimi tre anni e mezzo, il Parlamento bulgaro ha dato il via libera a un emendamento al Codice dell’istruzione presentato dall’estrema destra e appoggiato in modo controverso anche da una quota consistente di deputati pro-Ue.
L’emendamento in questione vieta la “propaganda, la promozione o l’incitamento” di “idee e opinioni” nelle scuole che siano di “orientamento sessuale non tradizionale”, ovvero contrario al concetto di “attrazione emotiva, romantica, sessuale o sensuale tra persone di sesso opposto“. È stato messo sul tavolo dal partito di estrema destra filo-russa ed anti-Ue Vazrazhdane (Rinascita) – unitosi al nuovo gruppo di destra radicale al Parlamento Ue Europa delle Nazioni Sovrane (Esn) – ma a sorpresa al voto in seconda lettura di mercoledì (7 agosto) ha trovato il sostegno di 159 deputati su 240, tra cui non solo quelli del Partito Socialista Bulgaro (che guarda ancora con favore a Mosca) ma anche della prima forza all’Assemblea Nazionale, il partito conservatore e pro-Ue Gerb (Cittadini per lo Sviluppo Europeo della Bulgaria) dell’ex-premier Boyko Borissov, che è membro del Partito Popolare Europeo. Solo i liberali di Continuiamo il cambiamento – Bulgaria Democratica hanno votato contrario in modo compatto, ma l’opposizione si è fermata a 57 contrari.
“È profondamente preoccupante vedere la Bulgaria adottare tattiche tratte dalla Russia contro i diritti umani”, è la condanna del gruppo per i diritto Lgbtq+ Forbidden Colours, che mette in luce come “tali azioni non solo sono regressive, ma sono anche in diretta contraddizione con i valori di uguaglianza e non discriminazione che l’Unione Europea rappresenta“. Proprio per questo motivo a livello Ue è arrivata subito una dura risposta da più fronti. “Esprimiamo sgomento e preoccupazione” per una legge “sul modello di quella voluta da Putin in Russia” e che “viola i principi fondanti dell’Ue”, si legge in una nota del Partito Democratico Europeo (Pde): “Chiediamo alla Commissione di intervenire per il pieno rispetto dei diritti e delle libertà individuali garantiti dai Trattati europei“. La stessa richiesta è arrivata anche dal Parlamento Ue, più nello specifico dai co-presidenti dell’intergruppo Lgbtq+, Kim van Sparrentak (Verdi/Ale) e Marc Angel (S&D), che in una lettera alla presidente dell’esecutivo Ue, Ursula von der Leyen, hanno chiesto di “condannare con urgenza” quanto sta accadendo in Bulgaria, come già fatto contro l’Ungheria.
“Questa legge è un attacco diretto alla comunità Lgbtq+, in particolare ai bambini“, è quanto si legge nella lettera destinata anche alla commissaria europea per l’Uguaglianza, Helena Dalli, che dovrebbe essere interessata dalla preoccupazione che questa tipologia di leggi nazionali “anti-propaganda” possa mettere a rischio psicofisico i minori, “contribuendo a creare un ambiente minaccioso in cui i bambini Lgbtq+ possono essere soggetti a bullismo, molestie e maggiori rischi per la salute“. Al momento dalla Commissione Ue arrivano solo risposte vaghe, come quella di ieri (8 agosto) da parte della portavoce responsabile per gli Affari interni, Anitta Hipper: “È ancora una bozza di legge [manca solo la firma del presidente della Repubblica, il socialista Rumen Radev, ndr], non commentiamo le legislazioni ancora pendenti”, anche se la posizione dell’esecutivo Ue è quella di rimanere “fermi nel nostro impegno ad affrontare discriminazioni, disuguaglianze e sfide che le persone Lgbtq+ devono affrontare“. Mentre si attende una reazione della presidente von der Leyen, è duro invece il commento del presidente del Comitato Economico e Sociale Europeo (Cese), Oliver Röpke: “Siamo impegnati ad affrontare la discriminazione, le disuguaglianze e le sfide che le persone Lgbtq+ devono affrontare, invito i legislatori bulgari a ripensarci, per un’Unione in cui si possa essere chi si è“.
Prima della Bulgaria, l’Ungheria
Ancor prima che in Bulgaria nell’estate 2024, è da esattamente tre anni che si è acceso un duro scontro proprio sul tema dei diritti Lgbtq+ tra Bruxelles e l’Ungheria, quando la presidente della Commissione von der Leyen aveva definito “una vergogna” la legge del governo di Vitkor Orbán che vieta di affrontare temi legati all’omosessualità in contesti frequentati dai minori. Il referendum sulla stessa legge anti-Lgbtq+, convocato dal premier ungherese nel luglio del 2021 per trovare il consenso popolare sulla sua iniziativa, si è risolto in un fiasco il 4 aprile 2022. Gli elettori ungheresi, pur riconfermando la fiducia nel partito Fidesz alle ultime elezioni parlamentari, lo hanno boicottato: solo il 44,46 per cento ha espresso un voto valido, non raggiungendo il quorum richiesto per avallare la proposta legislativa del governo.
A questa sconfitta interna si è aggiunta la continua pressione da Bruxelles, con una procedura d’infrazione avviata il 15 luglio del 2021 e su cui si attende ora la sentenza della Corte di Giustizia dell’Ue. Tre anni fa l’esecutivo comunitario aveva inviato a Budapest una lettera di costituzione in mora, dando due mesi di tempo per rispondere nel merito. Dopo il parere motivato fatto recapitare al governo Orbán, il 13 febbraio 2022 è arrivato il deferimento alla Corte di Giustizia dell’Ue, dal momento in cui il Paese membro non ha corretto la propria legislazione nazionale per rispondere alle preoccupazioni sollevate dal gabinetto von der Leyen sul rispetto dei Trattati fondanti dell’Ue. La causa della Commissione è sostenuta dal Parlamento Europeo e da 15 Paesi membri: Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Portogallo, Slovenia, Spagna e Svezia.