dall’inviato a Verona – “Buongiorno, iniziamo dal quarto movimento, grazie”. Quello dell’Inno alla Gioia, l’inno dell’Unione Europea, il manifesto di unità e fratellanza che dall’Ottocento arriva fino ai giorni nostri. Comincia così, nello stesso modo in cui si concluderà pochi giorni più tardi all’Arena di Verona, il viaggio dietro le quinte della Nona Sinfonia di Ludwig van Beethoven nel duecentesimo anniversario dalla sua composizione. Le parole sono quelle del direttore Andrea Battistoni, che ha guidato Orchestra e Coro della Fondazione Arena di Verona in questo cammino musicale “per aspera ad astra“, nell’estate del 101° Verona Opera Festival. Eunews era lì a seguirlo, dalle prove in teatro allo spettacolo nell’anfiteatro più celebre al mondo, per raccontare la sinfonia del genio di Bonn e l’inno più famoso della storia da una prospettiva inedita.
Il sipario delle prove generali per la Nona Sinfonia di Beethoven, in calendario per domenica 11 agosto all’Arena Opera Festival 2024, si apre tre giorni prima. Non nell’anfiteatro romano, ma al Teatro Filarmonico, il principale teatro d’opera cittadino. Il caldo asfissiante dell’agosto veronese durante le ore diurne rende impossibile per tutti i professionisti – dagli artisti ai tecnici – preparare lo spettacolo all’aperto e sotto il sole. Per le prove di assestamento in Arena, per prendere le misure di uno spazio e un’acustica completamente differenti da quelle di un teatro al chiuso, ci sarà tempo domenica nel tardo pomeriggio, qualche ora prima dell’inizio dello spettacolo.
Il palcoscenico illuminato nel buio del Teatro Filarmonico è esattamente come un tipico luogo di lavoro. Tutti gli artisti del coro e dell’orchestra timbrano il cartellino in entrata e in uscita, con le note di Beethoven racchiuse prima e dopo le prove nel classico doppio ‘bip’ del badge magnetico. Non c’è una divisa standard (a differenza della sera dello spettacolo), ognuno arriva vestito come preferisce: chi in camicia, chi in sandali, chi in bermuda, chi in vestito. Ciò che importa è il lavoro di fino sul contenuto, da assemblare tutti insieme. Dopo ore e ore di studio personale di ogni singolo membro dei 104 dell’Orchestra e dei 158 del Coro della Fondazione Arena di Verona per la stagione lirica e sinfonica estiva, bisogna trovare un equilibrio d’insieme che solo a pensarci sembra quasi impossibile. Prima i professori d’orchestra, poi gli artisti del coro, i quattro interpreti solisti, e infine orchestra, coro e solisti insieme.
Și comincia il giovedì con le prove dell’orchestra. Il teatro risuona per due ore della musica sprigionata dagli strumenti musicali e dalla voce del direttore Battistoni, che guida l’orchestra ed evidenzia i miglioramenti da apportare su alcuni dei punti più critici del quarto movimento. A orecchie inesperte sembrano sottigliezze, ma il lavoro certosino su legature, sincopi, battere e levare sarà il pilastro per fondere la musica con le voci del coro. Le prove continuano il giorno successivo con i solisti – la soprano statunitense Erin Morley, la mezzosoprano Anna Maria Chiuri, il basso russo Alexander Vinogradov e il tenore Ivan Magrì – e il direttore, il cui obiettivo è lavorare sulle sfumature delle quattro voci pensando agli ingressi e alle uscite dell’orchestra. Si continua nello stesso pomeriggio con le prove del coro guidato dal direttore Roberto Gabbiani, presente sul palcoscenico per sovrintendere agli assestamenti richiesti da Battistoni in vista dell’appuntamento cruciale: la vigilia dello spettacolo. Il sabato, per due ore, tutti gli artisti sono sul palco del Teatro Filarmonico per mettere finalmente a frutto lo sforzo dei giorni precedenti. Ma questa volta in modo collettivo, tastando i passaggi più ostici e che richiedono un ulteriore allineamento tra voci e strumenti.
Composta tra il 1822 e il 1824, la Nona Sinfonia rappresenta una rivoluzione nel genere sinfonico, proprio per la sperimentazione di Beethoven nell’uso di temi, ritmi e colori e lo sforzo inedito a livello di organico e di ampiezza. Il genio di Bonn decise poi di introdurre un messaggio extra-musicale, il testo dell’Ode alla Gioia di Friedrich Schiller (composto nell’estate del 1785), affidandolo all’interpretazione – in tedesco – di quattro solisti (soprano, contralto, tenore e baritono) e al coro. La Nona, anche conosciuta come Sinfonia Corale, è divisa in quattro movimenti: tre puramente sinfonici, a cui ne segue un quarto che include il coro. Sono i due maestri che hanno guidato il lavoro sulla Nona Sinfonia all’Arena, il direttore d’orchestra Battistoni e il direttore di coro Gabbiani, a spiegare i tratti principali di questo capolavoro sinfonico:
Era il 1824 quando Beethoven, già celebre e ormai quasi completamente sordo, presentava al pubblico la sua ultima sinfonia. Duecento anni dopo il fascino e l’ammirazione per quest’opera rimangono intatti, e si intrecciano al rapporto particolare che la Nona Sinfonia ha con il più famoso anfiteatro al mondo: è questa la prima sinfonia mai eseguita all’Arena di Verona (nel 1927), riproposta per cinque volte nel corso di quasi un secolo, fino al 2021 – il tributo alla memoria di Ezio Bosso – prima della preparazione dell’ultima esecuzione quest’anno, in occasione dell’eccezionale anniversario. “Con i complessi artistici di Fondazione Arena, che stanno crescendo molto anche nel repertorio sinfonico più impegnativo, non potevamo mancare l’appuntamento dei 200 anni della Nona Sinfonia“, spiega la sovrintendente di Fondazione Arena di Verona, Cecilia Gasdia: “Oggi più che mai abbiamo bisogno di condividere questa musica e soprattutto queste parole, sperando che il loro significato si propaghi nel mondo grazie all’internazionalità del pubblico dell’Arena“. Una speranza condivisa anche dagli interpreti, dai direttori ai solisti, fino ai membri di coro e orchestra:
Uno dei tratti più inconfondibili e che hanno reso celebre la Nona Sinfonia di Beethoven in tutto il mondo è senza dubbio l’Inno alla Gioia, la composizione del genio di Bonn a partire dall’ode omonima (in tedesco, An die Freude) contenuta nel quarto movimento. Si tratta di un testo composto nell’estate del 1785 e pubblicato l’anno successivo dal poeta e drammaturgo tedesco Schiller (con una versione leggermente rivista nel 1808), che descrive l’ideale romantico di una società di uomini egualmente legati tra loro da vincoli di gioia e amicizia universale. Già al 1799 risale la prima bozza di Beethoven per la messa in musica dell’ode del connazionale Schiller, completata infine con la composizione della Nona Sinfonia 25 anni più tardi e con l’aggiunta di tre versi in apertura: “O amici, non questi suoni! / Ma cantiamo in modo più piacevole / e più gioiosi“. In questo caso la gioia è intesa non come spensieratezza e allegria, ma come risultato di un percorso graduale di liberazione dal male, dall’odio e dalla cattiveria. Una composizione che ha fatto non solo la storia della musica, ma che è entrata nell’immaginario collettivo mondiale grazie a una serie di omaggi, dall’arte alla politica fino al cinema.
Ma ciò che ha reso ancora più celebre e immortale questa composizione è senza dubbio il fatto di essersi legata indissolubilmente al progetto dell’Europa unita. Proprio grazie al suo messaggio universale di unità e fratellanza, l’Inno alla Gioia è stato reso l’Inno europeo: nel 1972 il tema del finale, riadattato da Herbert von Karajan, fu adottato dal Consiglio d’Europa e, per decisione dei capi di Stato e di governo dei Paesi membri, nel 1985 diventò l’inno ufficiale dell’Unione Europea. Da quel momento in poi l’Inno alla Gioia viene eseguito nelle cerimonie ufficiali che vedono la partecipazione dell’Unione e in tutti gli eventi a carattere europeo. A differenza della composizione che chiude la Nona Sinfonia, però, l’Inno europeo è privo di parole (anche per non dare il primato di una lingua sulle altre, il tedesco in questo caso): “Nel linguaggio universale della musica, questo inno esprime gli ideali di libertà, pace e solidarietà perseguiti dall’Europa”, spiegano le istituzioni Ue e confermano gli interpreti all’Arena di Verona:
Tutto porta infine al momento più atteso, la serata dello spettacolo all’Arena di Verona. Sfidando il caldo soffocante che ormai a metà agosto non dà tregua nemmeno nel tardo pomeriggio, tutti gli artisti e i tecnici si spostano all’anfiteatro romano per testare nuovamente ciò che porteranno in scena poche ore più tardi. È qui che incontrano uno dei clienti più ostici con cui fare i conti: l’acustica. Perché la forma ellittica, la pietra calcarea, l’angolatura di voci e strumenti rispetto alle 44 file di gradoni, la struttura aperta, tutto ciò aumenta il livello di complessità dell’esecuzione rispetto a quanto messo a punto per giorni in un teatro al chiuso. Dopo circa un’ora e mezza di assestamenti, prove e perfezionamenti di fronte a un’anfiteatro vuoto (e anche il riempimento è un grosso fattore acustico), per il direttore Battistoni l’equilibrio è raggiunto. Si può andare nei camerini a prepararsi, tutti rigorosamente vestiti di nero questa sera, fatta eccezione per i quattro interpreti solisti: in lungo acquamarina di pizzo la soprano Morley, un tubino nero con uno chemisier bordeaux per la mezzosoprano Chiuri, in camicia bianca e frac sia il tenore Magrì sia il basso Vinogradov.
Il pubblico pian piano riempie l’Arena di Verona, in un arcovolo le due professioniste incaricate di fornire le informazioni di servizio dagli altoparlanti (non sono voci registrate, come si potrebbe pensare) avvisano che lo spettacolo sta per iniziare, di spegnere i cellulari e non registrare video. Entra il coro, entra l’orchestra, gli artisti accordano gli strumenti. Cala il silenzio. Un riflettore puntato al lato del palco illumina l’entrata del direttore Battistoni. Applausi scroscianti, si può iniziare. I primi due movimenti della Nona Sinfonia corrono via veloci con diverse melodie che risuonano ben note nella mente. Al terzo movimento entrano i solisti, pronti per il celebre quarto movimento: le quattro voci si stagliano sull’avvolgente tappeto vocale intessuto dal coro e sulla marea musicale dell’orchestra padroneggiata dalla bacchetta del direttore. L’Inno alla Gioia arriva con potenza proporzionale all’attesa, e non tradisce le aspettative. Lo spettacolo si chiude con dieci minuti di standing ovation, che rendono onore al lavoro di centinaia di professionisti e omaggio al genio di Bonn che ha regalato al mondo l’inno più celebre della storia. L’inno dell’Unione Europea.
In chiusura di questo reportage – ringraziando il lavoro di tutti gli artisti, i tecnici, le maestranze, l’ufficio stampa della Fondazione Arena di Verona che ha accolto la richiesta di Eunews, e tutti i professionisti che lavorano sul palco e dietro alle quinte per rendere possibile l’Arena Opera Festival da 101 anni – vogliamo rilanciare l’appello del baritono Alessandro Andreoli per rendere l’Inno europeo ancora più europeo. Più accessibile, comprensibile e alla portata di tutti i cittadini dell’Unione, da qualsiasi regione o Paese provengano e qualsiasi lingua parlino, per la costruzione di un’identità comune ancora più solida e condivisa. L’Europa come non l’avete mai letta, l’Inno alla Gioia come non l’avete mai ascoltato e cantato: