Bruxelles – La siccità è un problema locale, che a livello locale va affrontato. Se cambiamento climatico ed eventi meteorologici estremi riguardano tutti, da un punto di vista giuridico l’Ue non può praticamente niente, e l’azione di contrasto e mitigazione passa per forza di cose per la politica nazionale e ancor più regionale. “È opportuno vagliare qualsiasi possibilità di impegnarsi a livello regionale contro la carenza idrica per aumentare la resilienza agli eventi meteorologici estremi frequenti come la siccità”, l’appello di Maros Sefcovic, commissario per il Green Deal. Un invito alle amministrazioni locali di tutta Europa ad assumersi le proprie responsabilità anziché lagnarsi per l’inazione.
Invocare l’Ue e lamentare un’assenza di azione comune serve a poco poiché, ricorda Sefcovic, “la Commissione non dichiara formalmente lo stato di siccità di alcuna regione, in quanto si tratta di una competenza degli Stati membri in funzione dei rispettivi criteri nazionali”. Proprio per questo a livello di Unione europea “non esiste” una definizione ufficiale di stato di ‘siccità a lungo termine’. Tradotto: finché non si cambia il quadro giuridico e si ridefiniscono le competenze tra Bruxelles e le capitali, la lotta alla penuria d’acqua va condotta sui territori.
Un monito che vale anche e soprattutto per la Sicilia, Regione a Statuto speciale, e menzionata esplicitamente nell’interrogazione parlamentare urgente a firma Ruggero Razza (Fdi/Ecr). “Il 45 per cento della regione è in condizioni di grave siccità”, denuncia l’europarlamentare, che nel depositare la domanda commette un vero e proprio autogol. In primo luogo perché Sefcovic inchioda l’Italia alle sue responsabilità, ricordando che quello che serve è un’azione nazionale, unica possibile via d’uscita a un problema peraltro noto a Bruxelles. Perché il Centro comune di ricerca (Jrc) della Commissione Ue, già a febbraio aveva lanciato l’allarme sul razionamento acqua in Sicilia.
Cosa hanno fatto Italia e Sicilia fin qui per evitare la crisi idrica, al netto di una siccità senza precedenti? Questo il punto centrale della questione. Il commissario per il Green Deal evita scontri e polemiche, e con tono cordiale ricorda che esistono condizioni che evitano all’Italia di finire in procedura d’infrazione per il mancato rispetto della direttiva Acque del 2000, il cui obiettivo, come sancito all’articolo 2, è quello di proteggere le acque superficiali interne, le acque di transizione, le acque costiere e sotterranee in modo da, tra le altre cose, “mitigare gli effetti delle inondazioni e della siccità”.
In caso di “circostanze naturali o di forza maggiore eccezionali e ragionevolmente imprevedibili, in particolare alluvioni violente e siccità prolungate”, un Paese non è perseguibile da Bruxelles se non riesce a soddisfare l’obiettivo della direttiva. A patto che, però, “è fatto tutto il possibile per impedire un ulteriore deterioramento” dello stato delle cose. In Italia non ci sono invasi, l’acqua piovana si disperde perché non viene raccolta da nessuna parte, e la rete di distribuzione idrica continua a rappresentare un problema, come certificato da Istat nell’ultimo rapporto di marzo 2024.
“Nel 2022, il volume delle perdite idriche totali nella fase di distribuzione dell’acqua è pari a 3,4 miliardi di metri cubi, il 42,4 per cento dell’acqua immessa in rete“, rileva l’Istituto di statistica. La quantità di acqua persa in distribuzione continua a rappresentare “un volume considerevole, quantificabile in 157 litri al giorno per abitante“. Stimando un consumo pro-capite pari alla media nazionale, secondo l’Istat il volume di acqua disperso nel 2022 soddisferebbe le esigenze idriche di 43,4 milioni di persone per un intero anno (che corrisponde a circa il 75 per cento della popolazione italiana). Nel 2022, i distretti idrografici con le perdite totali in distribuzione più ingenti sono la Sardegna (52,8 per cento) e la Sicilia (51,6 per cento), entrambe regioni a Statuto speciale.
Ci sono dunque problemi strutturali legati anche a problemi culturali che si traducono in “usi non autorizzati (allacci abusivi)”, come ricorda Istat. Se a Bruxelles si dovesse iniziare a fare una verifica per vedere se l’Italia ha davvero fatto tutto il possibile per evitare la crisi idrica che sta vivendo in questi giorni, potrebbe anche finire con l’avvio di una procedura d’infrazione per il mancato rispetto della direttiva acque del 2000. Insomma, la richiesta di intervento all’Ue per la siccità in Sicilia si tramuta in un clamoroso autogol.