Bruxelles – Le regioni e gli enti locali non ci stanno a perdere la gestione dei generosi fondi di coesione, stanziati dall’Ue attraverso il budget comunitario, se verrà attuata la famigerata riforma della politica di coesione per il prossimo periodo di bilancio (2028-2034). Riforma che, stando alle indiscrezioni, la presidente della Commissione Ursula von der Leyen vorrebbe affidare al suo vicepresidente esecutivo designato Raffaele Fitto, al quale verrà affidato proprio il portafoglio alla Coesione e alle riforme, e che prevederebbe una centralizzazione della gestione dei fondi europei, che dalle regioni passerebbe così agli Stati membri.
“La nazionalizzazione” della politica di coesione – un caposaldo dell’integrazione europea che, in sostanza, mira ad incentivare la convergenza nello sviluppo socio-economico delle diverse regioni dell’Unione, sostenendo con maggiori risorse quelle meno sviluppate – “non farà altro che indebolire le nostre economie, i nostri servizi pubblici” e lo stesso “progetto europeo”: è l’avvertimento lanciato dall’ex presidente della commissione Regi dell’Eurocamera (quella che si occupa appunto di coesione e politica regionale) e attualmente vicepresidente dell’Aula, il francese Younous Omarjee (The Left), durante un evento incentrato sulla politica di coesione nel post-2027 tenutosi mercoledì (2 ottobre) al Parlamento europeo di Bruxelles.
Praticamente sulla stessa linea anche tutti gli altri interventi al convegno, pur con i distinguo dovuti alle diverse appartenenze politiche. La vicepresidente dell’emiciclo in quota Conservatori e riformisti (Ecr), la meloniana Antonella Sberna, ha sottolineato che “la politica di coesione ha dimostrato di essere all’altezza delle grandi sfide degli ultimi anni, ha mobilitato risorse per i territori durante la pandemia e contribuito attivamente al raggiungimento degli obiettivi europei e non deve perdere la sua visione di lungo termine”. E si è detta “fiduciosa” circa la nomina di Fitto alla Coesione, sostenendo che il compagno di partito “è in grado di sedersi e cercare una soluzione”.
Il non-paper sottoscritto da 134 regioni europee
Il dibattito è ruotato intorno ad un’iniziativa, sottoscritta da 134 regioni europee (tra cui 12 italiane) di 16 Stati membri, per chiedere alla nuova Commissione una politica di coesione che, nel periodo di bilancio 2028-2034, sia sostenuta da un budget adeguato e mantenga un approccio territoriale, nel rispetto dei princìpi di partenariato e sussidiarietà. Tra i punti reiterati con maggiore insistenza dagli oratori c’è anche la necessità di una maggiore flessibilità e quella di mantenere il modello della cosiddetta governance multilivello (che coinvolge vari piani di governo: europeo, nazionale, regionale e locale) poiché garantisce impegno e responsabilità da parte di tutti gli attori coinvolti e soprattutto dei beneficiari dei progetti finanziati con i fondi in questione.
Secondo Emil Boc, presidente della commissione Coter (la controparte della commissione Regi all’interno del Comitato delle regioni), “il mercato unico è un successo perché la politica di coesione è un successo” e quest’ultima “deve rimanere il principale strumento d’investimento che copre tutte le regioni anche dopo il 2027” (attualmente, i fondi riconducibili alle politiche di coesione rappresentano circa un terzo del bilancio comunitario). L’elefante nella stanza sarebbe dunque “l’idea di avere un piano (d’investimento, ndr) per ciascuno Stato membro, poiché non può soddisfare i diversi bisogni delle differenti regioni” e finirebbe così per distruggere l’essenza stessa della politica di coesione.
Anche secondo l’eurodeputato Giuseppe Lupo (vicepresidente in quota Pd della commissione per i Bilanci dell’Eurocamera) “senza coesione l’Ue non può essere competitiva” e, in linea con quanto indicato nel suo rapporto dall’ex premier Mario Draghi, vanno rafforzati gli investimenti comuni come fatto con il NextGeneration Eu. Il parlamentare dem ha poi lanciato un altolà al connazionale Fitto, annunciando che ne “verificheremo la coerenza” rispetto al programma illustrato da von der Leyen in occasione delle audizioni di conferma dei commissari designati (in calendario per l’inizio di novembre) e che il Pd lo aspetta al varco anche in Italia, dove il partito dell’ormai ex ministro agli Affari europei è promotore di una riforma sull’autonomia differenziata che è “contraria alla politica di coesione” dell’Ue e “non aiuta la lotta alle diseguaglianze”.
Un altro membro italiano dei socialdemocratici, Stefano Bonaccini, ha parlato della propria esperienza alla guida dell’Emilia-Romagna utilizzandola come monito contro la centralizzazione della politica di coesione: “Se vogliamo che le città e le regioni dei Ventisette” siano in grado di “poter dire la loro e decidere quali sono le priorità dei territori, dobbiamo evitare che siano gli Stati membri a decidere persino le priorità”, ha dichiarato. Secondo lui, “un conto è la programmazione dei finanziamenti”, rispetto alla quale “è giusto che ci sia una discussione tra Stati membri, il Parlamento europeo e la Commissione per evitare dispersione” di risorse, ma “da presidente dell’Emilia-Romagna non avrei mai permesso al governo italiano – qualunque fosse – di decidere qual era la priorità del mio territorio” e pertanto “dovremmo chiedere al commissario Fitto” quali “condizioni e condivisioni” garantirà agli enti regionali e locali durante il suo quinquennio a Bruxelles. Ha poi ribadito che “abbiamo bisogno che la politica di coesione sia adeguatamente finanziata – perché il rischio è persino di vederci portare via una parte di quei fondi – e poi ognuno risponderà di come li spende” di fronte alle proprie comunità.