Bruxelles – Non sembra destinata a finire presto la guerra dei dazi scoppiata tra l’Ue e la Cina. Alle misure sanzionatorie imposte pochi giorni fa da Bruxelles (e approvate con reticenza dai governi dei Ventisette) sulle auto elettriche cinesi, Pechino ha risposto con dei contro-dazi che colpiscono le importazioni del brandy europeo. E ora la Commissione vuole portare il suo rivale economico di fronte all’Organizzazione mondiale del commercio (Omc).
Quando, lo scorso venerdì (4 ottobre), gli Stati membri hanno dato il via libera ai dazi proposti dall’esecutivo comunitario all’import di e-car made in China, in pochi si aspettavano che la Repubblica popolare non avrebbe risposto per le rime. Così è stato. Nella giornata di martedì (8 ottobre), Pechino ha annunciato delle nuove imposte sulle importazioni di brandy dall’Europa, una mossa che colpisce soprattutto l’industria francese, essendo il Paese transalpino tra i principali esportatori in Ue.
Per Parigi, si tratta di una pura e semplice ritorsione. E il fatto che non sia stato preso di mira un prodotto esportato in grandi quantità anche dalla Germania farebbe in effetti sospettare che il Dragone abbia voluto premiare Berlino per essersi astenuta nella decisione sui dazi ai veicoli elettrici cinesi. Ma da Pechino fanno sapere che si tratta semplicemente di una “misura anti-dumping”, tesa cioè a proteggere le aziende nazionali che operano nel settore.
A Bruxelles, intanto, la contro-mossa cinese non è stata accolta con favore. La Commissione europea “contesterà con forza a livello di Omc l’annunciata imposizione di misure anti-dumping provvisorie da parte della Cina sulle importazioni di brandy dall’Ue”, si legge in un comunicato stampa dell’esecutivo comunitario. “Parallelamente”, continua la nota, “valuterà attentamente tutte le possibilità di offrire un sostegno adeguato ai produttori” che sono stati colpiti da quella che viene definita una “decisione ingiustificata”.
In realtà, sui dazi alle auto cinesi i Ventisette sono profondamente divisi: cinque Paesi si sono opposti, 12 si sono astenuti e il resto, Italia inclusa, hanno votato a favore. Tecnicamente, non essendoci stata una maggioranza qualificata per il “sì”, la proposta della Commissione è potuta andare avanti e la decisione finale è in calendario per il prossimo 30 ottobre. Da palazzo Berlaymont dicono che il Collegio è sempre aperto ad una “soluzione alternativa”, purché la controparte cinese sia disposta a entrare in buona fede in un “negoziato costruttivo”. La mossa odierna di Pechino potrebbe essere un tentativo di controbilanciare la fuga in avanti europea per sedersi al tavolo negoziale in una condizione di parità. Vedremo. Se c’è qualcosa di certo è che la questione è tutt’altro che conclusa.