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Home » Digital » Un modello digitale europeo basato sui valori

Un modello digitale europeo basato sui valori

Ivana Bartoletti: "Quelli che uniscono gli europei restano fondamentali, ancora più oggi perché l’adozione delle nuove tecnologie rischia di aumentare i divari, le disuguaglianze e i pregiudizi"

Stefano Campolo</a> <a class="social twitter" href="https://twitter.com/@partodomani" target="_blank">@partodomani</a> di Stefano Campolo @partodomani
16 Ottobre 2024
in Digital
Ivana Bartoletti (Foto: Stefano Campolo)

Ivana Bartoletti (Foto: Stefano Campolo)

Bruxelles – Libertà economica, assenza di controlli, investimenti privati molto sostenuti e un’elevata propensione al rischio sono i fattori che hanno trainato, e continuano a farlo, l’economia digitale negli Stati Uniti. Dall’altro lato del mondo, in Cina, la digitalizzazione è caratterizzata da un approccio centralizzato e le scelte strategiche rimangono sotto il controllo pubblico. Modelli molto differenti che hanno finora consentito ai due Paesi di consolidare la leadership mondiale nel settore. E l’Europa? Secondo Mario Draghi “ha in gran parte perso la rivoluzione digitale guidata da internet e i guadagni di produttività che ha portato (…)’, tanto che a oggi ‘Solo quattro delle 50 principali aziende tecnologiche al mondo sono europee”.

L’ex presidente della Bce sollecita un cambiamento radicale con l’ambizione di ‘eguagliare gli Stati Uniti in termini di innovazione’ e superarli in quanto a opportunità di istruzione e apprendimento permanente.

Ambizioni probabilmente condivisibili tuttavia, sostengono molti esperti e addetti ai lavori, non vanno perse le peculiarità europee. Tra questi Ivana Bartoletti: una carriera spesa a studiare le nuove tecnologie, esperta di intelligenza artificiale, cybersicurezza, privacy digitale, ha ricevuto il Privacy Leader of the Year Award nel 2022. La digitalizzazione europea deve essere fondata sui suoi valori è la tesi che Bartoletti espone nel suo recente libro ‘A Digital Union Based on European Values’, edito da FEPS nella collana Primer Series e presentato ieri a Bruxelles.

“I valori che uniscono gli europei restano fondamentali, ancora più oggi perché l’adozione delle nuove tecnologie rischia di aumentare i divari, le disuguaglianze e i pregiudizi”, afferma Bartoletti. “Del resto bisogna sfatare il mito della neutralità tecnologica. Ogni strumento tecnologico riflette le intenzioni del suo creatore. Non c’è nulla di più politico, cioè relativo alle scelte di fondo che determinano la progettazione di uno strumento tecnologico. Questo evidenzia l’importanza di una guida politica nella gestione della tecnologia”.

Il modello europeo viene spesso accostato alla capacità regolatoria. Gerard Rinse Oosterwijk, responsabile delle politiche digitali della Feps, ne traccia i confini: “L’Unione europea è diventata un regolatore globale sulla tecnologia. Negli ultimi anni il legislatore ha varato una serie di misure – Gdpr, Dma, Dsa, Dga, Aia – per aumentare la trasparenza e la responsabilità delle aziende tech e per contrastarne la tendenza monopolistica”. Tuttavia, sottolinea Draghi, l’eccesso di regole ostacola la crescita delle imprese innovative con normative incoerenti e restrittive.

Una posizione da cui Bartoletti dissente: “Dobbiamo sfatare il malinteso secondo cui la regolamentazione abbia soffocato l’innovazione in Europa, e per questo non abbiamo un Google, un Alibaba o un Amazon. Questo è troppo semplicistico. Ci sono molte ragioni per cui l’Europa è rimasta indietro rispetto a grandi aziende tecnologiche, tra cui il ruolo del settore pubblico e privato, il venture capital e la capacità del settore privato di assumersi rischi, elementi molto forti negli Stati Uniti. In Europa, non possiamo essere una copia degli USA, ma abbiamo comunque una grande forza nell’investimento in ricerca e sviluppo”.

Secondo l’esperta il fatto che l’Europa stia emergendo come il regolatore più importante del mondo, è una grande opportunità, soprattutto nel contesto dell’intelligenza artificiale e delle nuove tecnologie. “Essere un super-regolatore non significa bloccare l’innovazione, ma garantire che l’innovazione sia sviluppata nel rispetto dei valori e dei diritti umani fondamentali. L’approccio europeo si basa sui rischi che la tecnologia può rappresentare per i diritti fondamentali. Ad esempio, nell’intelligenza artificiale, l’Europa si sta muovendo verso una regolamentazione che tiene conto di questi rischi, anziché semplicemente dei soldi investiti in un modello, come accade negli Stati Uniti”.

Perché, torna a sottolineare, la tecnologia è tutt’altro che neutra, basti un esempio: “Grazie all’intelligenza artificiale è possibile prevedere cure personalizzate o ancora possiamo rendere autonomo un non vedente che riesce ad aprire un frigorifero e prepararsi un pranzo senza aiuto alcuno. Allo stesso tempo, però, una persona che attende un trapianto di fegato se lo può vedere negato o posticipato perché un algoritmo stabilisce che non è abbastanza conveniente. Chiaramente ci sono dei temi etici, ma soprattutto politici, quindi di scelta, nella progettazione e nell’’allenamento’ degli algoritmi”.

E qui si innesta anche il grande tema della responsabilità, di chi prende le decisioni e, di conseguenza della fiducia nelle nuove tecnologie. “Dobbiamo assicurarci che le persone abbiano fiducia in queste tecnologie, il che significa che devono essere trasparenti e sicure. Un aspetto fondamentale dell’approccio europeo è che l’IA deve essere centrata sull’uomo e rispettare i diritti fondamentali, come la privacy”. Uno dei punti fondamentali è svincolare i dati raccolti dalle grandi piattaforme, “ripensarli come bene pubblico e trattarli di conseguenza”, afferma Bartoletti, cioè “metterli a disposizione di ricercatori e sviluppatori più piccoli”. Sarà decisivo, però, costruire dataset più affidabili e sicuri. Al momento gran parte dell’IA viene addestrata su dati raccolti in modo poco trasparente, pieni di pregiudizi”, ammonisce.

In tutto questo, conclude Bartoletti, “l’Europa ha la straordinaria opportunità di plasmare il futuro della tecnologia”. Se la maggiore produttività di Stati Uniti e Cina legata allo sviluppo e all’implementazione delle nuove tecnologie fa leva sui valori cardine dei due Paesi: libertà da una parte, controllo dall’altra, l’Europa ha la possibilità di sviluppare la digitalizzazione su una visione basata sui diritti umani. “Abbiamo università eccellenti, investimenti significativi in ricerca e sviluppo, possiamo trovare la nostra strada, e possiamo farlo proteggendo i diritti e i valori che ci uniscono come europei. Questo è ciò che ci rende speciali e questo è ciò su cui dobbiamo continuare a costruire”.

Tags: fepsIvana Bartolettitecnologie

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