Bruxelles – Essere bambini all’interno di una famiglia con ristrettezze economiche e difficoltà a tirare avanti, e diventare un adulto che resta a rischio povertà. E’ il fenomeno noto come ‘trasmissione inter-generazionale degli svantaggi‘ economici, ancora molto diffuso nell’Ue e in Italia. Eurostat prova a fare un censimento di quanti una volta minori sono uomini e donne di età compresa tra i 25 e i 59 anni che sono riusciti a trasformare l’infanzia di privazioni in età adulta agiata. Il risultato è che una persona su cinque, nell’Ue, continua a non farcela. Il 20 per cento di quanti dichiaravano di vivere in una famiglie dalla cattive situazioni finanziarie, adesso che sono grandi continuano a trovarsi nella stessa situazione di difficoltà.
Il dato Eurostat è aggiornato al 2023, e dimostra un problema di ascensore sociale mancante un po’ ovunque, ma particolarmente inesistente in Bulgaria, Romania e Italia. Sono loro i principali Paesi dell’Ue dove chi nasce povero resta povero. E’ vero, rispettivamente per il 48,1 per cento, il 42,1 per cento e il 34 per cento di chi a meno di 14 anni viveva in condizioni di ristrettezza se non addirittura a rischio povertà e che una volta cresciuto ha ereditato lo stesso problema dei genitori.
Nella fotografia scattata dall’istituto di statistica europeo emergono difficoltà e contraddizioni della terza economia dell’eurozona nonché seconda manifattura europea. Un Paese del G7 dove una persona su tre nasce povera e resta povera.
In queste dinamiche sembra giocare un ruolo l’accesso all’istruzione. Il rischio di povertà è più alto per quei bambini i cui mamma e papà hanno un titolo di studio più basso, rispetto ai coetanei oggi adulti che in tenera età avevano genitori con un laurea o addirittura un master post-universitario. “Nella maggior parte dell’Ue – rileva Eurostat – nel 2023 il tasso di rischio di povertà per le persone di età compresa tra 25 e 59 anni era inferiore di 10,6 punti percentuali per coloro i cui genitori avevano un livello di istruzione superiore (8,5 per cento) rispetto a coloro i cui genitori avevano un livello di istruzione inferiore (19,1 per cento)”.