Bruxelles – In vista delle ormai prossime elezioni europee (6-9 giugno) la Commissione europea ha messo a punto una serie di iniziative per difendere le istituzioni e i cittadini dell’Unione dal dilagare della disinformazione e della manipolazione politica online. Quella di utilizzare i canali tradizionali di comunicazione per creare confusione nel campo nemico e coesione all’interno è una pratica da “guerra ibrida” in uso in Russia dai tempi degli Zar, affinata nei decenni della Guerra Fredda e potenziata negli anni del lungo dominio putiniano. Questo genere di disinformazione a scopo bellico, praticata anche dal regime cinese e da molte altre autocrazie, altro non è che propaganda, tendente a spacciare per vero il verosimile, e a creare disorientamento, avvalendosi di fake news e di teorie del complotto: queste ultime, nella maggior parte dei casi, altro non sono che una congerie di notizie false, spesso anche contraddittorie, diffuse in Rete e capaci di raggiungere milioni di persone in pochi minuti. L’avvento dell’Intelligenza Artificiale Generativa e la diffusione delle cosiddette deep fake (combinazioni di immagini reali di persone con voci processate con l’Intelligenza Artificiale) hanno alzato al massimo livello l’allarme delle istituzioni europee e di tutte le democrazie occidentali.
Le misure studiate dalla Commissione, come ad esempio, l’”etichettatura”» imposta alle grandi piattaforme tecnologiche per contrassegnare le informazioni generate con l’Intelligenza Artificiale, o l’estensione della pratica del fact checking per smascherare le notizie false, sono provvedimenti necessari, ma certamente non sufficienti, viste le dimensioni planetarie assunte dal fenomeno, afferma Paolo De Luca, per molti anni giornalista Rai e corrispondente da Bruxelles, nel suo ultimo libro dedicato a questi temi (La fabbrica delle ombre, Teorie del complotto fra mito e realtà, Laruffa editore, maggio 2024, pagg. 200, €18). “Tutte queste iniziative, osserva, arrivano sempre ‘dopo’, quando i buoi sono già scappati dalla stalla”, quando cioè le notizie manipolate e artefatte hanno già fatto il giro del mondo e raggiunto milioni di potenziali ‘credenti’. Tanto più che le teorie complottistiche non provengono solo dai regimi autocratici dell’Est, ma sono diffusissime anche nelle maggiori democrazie occidentali, a partire dagli Stati Uniti. Inoltre il lavoro di debunking, per quanto prezioso, è utilizzato solo da chi non crede nelle teorie del complotto. “Chi aderisce a una o a più di queste teorie non cerca la verità ma solo la conferma delle proprie credenze e dei propri pregiudizi”, dice De Luca. La sua fede non prevede l’onere della prova, che è invece imposta a chi la contesta, cioè a chi professa le verità ‘ufficiali’, che sono sempre, per principio, ritenute false e contestabili.
Questa fede, che ha motivazioni così forti da superare la soglia del buon senso e persino del ridicolo (si pensi alla saga americana di QAnon, o alle teorie sui tunnel dell’aeroporto di Denver che ospiterebbero il quartier generale degli Illuminati di Baviera, per citare solo due fra migliaia di analoghi casi), per De Luca ha una solida ragione politica e sociologica: “Esprime cioè un profondo, incolmabile senso di sfiducia da parte di settori crescenti della popolazione nei confronti delle istituzioni e delle autorità, sia politiche che scientifiche”.
Nel libro viene svolta un’ampia analisi sull’attuale stato di diffusione delle teorie della cospirazione e su alcune possibili linee di tendenza per il futuro. Una parte rilevante è però dedicata alla ricostruzione della plurisecolare storia delle più diffuse credenze complottistiche nel mondo moderno, a partire dall’inizio del XVII secolo fino ai giorni nostri. Perché queste credenze non nascono con internet e con i social ma si manifestano fin dai primordi della storia dell’uomo. E se esistono le teorie del complotto è perché esistono anche i complotti veri, ed è spesso difficile distinguere fra realtà e immaginazione.
C’è una soluzione? C’è, ma è di lunga durata, come scrive la Commissione nelle sue linee guida. Bisogna partire dalla scuola, dalla famiglia, dall’educazione. Insomma, osserva De Luca, “occorre educare i ragazzi (e, qualche volta, anche i docenti) ad esercitare lo spirito critico, a discernere fra fonti attendibili e meno attendibili, a non condividere contenuti non verificati e non verificabili, ad innalzare il livello dell’attenzione di fronte ai discorsi ‘impliciti’, cioè a messaggi ‘nascosti’ sotto il velo di un’apparentemente innocua retorica politica, ma capaci di bypassare la vigilanza della ragione e insediarsi nella nostra mente. Perché spesso restiamo vittime della propaganda senza che neanche accorgercene”.