Bruxelles – Ormai sulla questione Brexit non si può più parlare di “ultimo minuto”. Dentro l’ultimo minuti ci siamo ormai da settimane, con tutte le scadenze saltate e le trattative in cui si naviga a vista. A 9 giorni dalla fine del periodo di transizione l’ultimo scoglio rimasto è quello della pesca nelle acque britanniche: pare insormontabile, ma non bisogna dimenticare che fino pochi giorni fa lo sembravano anche la questione della governance (gestione dell’Accordo di recesso ed eventuali relazioni future) e il level playing field (regole e standard comuni di mercato). “L’Unione Europea non chiuderà le porte al Regno Unito. Rimaniamo pronti a negoziare anche oltre il primo gennaio“. Con queste parole il capo-negoziatore UE, Michel Barnier, ha aggiornato gli ambasciatori UE sullo stato delle trattative, riferendo sugli scogli rimasti nei negoziati: “Sono stati compiuti progressi e la maggior parte dei problemi è stata preliminarmente chiusa o è prossima all’accordo”. Tuttavia, “le differenze in materia di pesca rimangono difficili da colmare“, perché “sfortunatamente il Regno Unito non si sta ancora muovendo abbastanza per concludere un accordo equo su questa materia”.
Barnier ha poi ribadito che “siamo davvero nel momento decisivo, stiamo dando una spinta finale ai negoziati“, ricordando che “tra dieci giorni il Regno Unito lascerà il Mercato unico, ma io continuerò a lavorare in piena trasparenza”. Non va dimenticato che lo sprint finale sarebbe comunque già oltre il tempo massimo, considerato il fatto che il Parlamento UE ieri ha confermato di non avere più tempo effettivo per ratificare un testo d’intesa. Il numero giorni necessari per limare le richieste reciproche su questo tema determinerà il livello di incertezza nei rapporti Ue-Regno allo scoccare della mezzanotte del 1° gennaio.
"We are really in the crucial moment. We are giving it a final push"
EU chief Brexit negotiator Michel Barnier on the state of trade talks with the U.K.https://t.co/2lIsf23Sjx pic.twitter.com/kboZAQdHiG
— Bloomberg UK (@BloombergUK) December 22, 2020
Gli scenari delle trattative
Da parte di Londra lo scenario di un’estensione del periodo di transizione sembra essere invece fuori discussione. Già ieri il servizio giuridico del Parlamento Europeo aveva informato i presidenti dei gruppi parlamentari che sarebbe stato possibile estenderlo attraverso un nuovo trattato. E anche nel Regno Unito diverse voci avevano chiesto lo stesso a BoJo: dalla premier scozzese, Nicola Sturgeon, al sindaco di Londra, Sadiq Khan, fino ad alcuni deputati conservatori. Ma questa mattina la ministra degli Interni, Priti Patel, ha sgombrato il campo da ogni dubbio: “Non c’è nessuna tentazione di farlo”, è stato il secco commento alla stampa.
I’m urging the Government to officially seek an extension to the Brexit transition period.
Securing our key supply chains and fighting the coronavirus pandemic requires the full and undivided efforts of ministers more than ever before.
My full statement: pic.twitter.com/JNO1VpIWt1
— Sadiq Khan (@SadiqKhan) December 21, 2020
In ogni caso il blocco delle frontiere britanniche scatenato da domenica (fino al pacchetto di raccomandazioni della Commissione UE di oggi) ha dato un assaggio di cosa potrebbe significare un’uscita scomposta del Paese dall’Unione Europea. Non è un caso se nelle ultime ore Downing Street stia cercando di fare dei passi avanti per portare a casa l’accordo entro Natale. Anche se “non abbastanza” dal punto di vista europeo, il capo-negoziatore per il Regno Unito, David Frost, ha proposto di portare la riduzione delle catture UE di pesce nelle acque britanniche dal -60 al -35 per cento. Uno scostamento importante dalle posizioni finora quasi irremovibili di Londra, che però non è ancora in linea con il tetto massimo stabilito dal capo-negoziatore UE, Michel Barnier (-25 per cento). La proposta di Downing Street non sarebbe di gradimento in particolare per Francia e Danimarca, due degli Stati membri con le più grandi flotte di pescherecci nell’Unione. Dopo il colloquio telefonico di ieri tra la presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, e il premier britannico, Boris Johnson, è stata proprio la leader europea a chiedere maggiore flessibilità ai due governi UE sulla loro “offerta finale”. La presidente della Commissione sta prendendo il controllo delle trattative e vuole sbloccare a breve anche l’ultimo stallo su cui sono arenate le trattative nell’ultima settimana: sicuramente non è disposta a far saltare il tavolo per uno scostamento di 10 punti percentuali.
Tanto più ora che BoJo si trova con le spalle al muro. Lo dimostrerebbe il fatto che un altro punto su cui era stato fin qui irremovibile – la durata del periodo transitorio per l’adeguamento dei nuovi parametri – è rientrato nei termini di negoziazione: non più tre anni, ma cinque (punto d’incontro con i sette proposti da Barnier). Se questo compromesso andasse in porto, si calcolano guadagni extra per il Regno Unito tra i 140 e i 200 milioni di euro, con l’UE che perderebbe entrate in ogni caso. Certo, nettamente meno di quanto sperato da Downing Street, ma per entrambe le parti la situazione sarebbe peggiore in caso di no deal.
Fonti di The Guardian hanno lasciato trapelare che ci sarebbe tempo fino a domani (mercoledì 23 dicembre) per concludere i colloqui, trovare un’intesa e dare il tempo necessario ai governi per il controllo legale del testo. In questo modo si potrebbero applicare “provvisoriamente” le misure dell’accordo già il 1° gennaio, garantendo ai deputati dei due Parlamenti (Europeo e britannico) di analizzare e votare il testo all’inizio del nuovo anno. Anche se questa soluzione apre un enorme punto interrogativo sul ruolo delle Camere (solo venerdì scorso l’eurodeputato dei Verdi/Ale, Philippe Lamberts, tuonava contro l’idea che “i parlamenti sono considerati ormai Camere di approvazione dell’esecutivo) e su cosa potrebbe succedere se poi Westminster o l’Europarlamento dovessero mettersi di traverso.
L’alternativa sarebbe però un ulteriore gioco al ribasso: se si dovesse andare oltre la pausa del Natale con i colloqui – e fosse confermata la chiusura di Londra a un’estensione del periodo di transizione – sarebbe quasi inevitabile il no deal con l’arrivo del 1° gennaio. Si potrebbero sì negoziare le misure di emergenza già approvate dall’UE per evitare gli impatti peggiori, ma le attività di esportazione, i porti e i servizi di sicurezza rimarrebbero in un limbo legale. Un assaggio di cosa significhi è arrivato con le conseguenze della “variante inglese” del Covid-19. Il tempo ormai stringe, a meno che non si trovi il modo di allungarlo.