dall’inviato
Strasburgo – Non si può nemmeno parlare di sconfitta. Il gruppo dell’Alleanza Progressista dei Socialisti e dei Democratici esce da queste elezioni di metà legislatura ridimensionato, per limiti tutti propri. Il secondo gruppo per numero di parlamentari sparisce dai posti chiave. Dati alla mano, l’accordo siglato con i popolari e i liberali di Renew Europe per convergere sul nome di Roberta Metsola (PPE) alla presidenza dell’Eurocamera e per garantire una “forte rappresentanza istituzionale per i deputati S&D” non ha retto: anche il primo vicepresidente del Parlamento Europeo è un popolare, più precisamente l’austriaco Othmar Karas. I socialdemocratici rimangono così a secco, con nessuna rappresentanza ai vertici dell’istituzione comunitaria. Nemmeno il premio di consolazione.
Karas è stato il candidato più votato tra i 18 che si sono presentati al primo turno: con 536 voti, ha superato di misura l’eurodeputata del Partito Democratico Pina Picierno (ferma a 527 voti), comunque tra i nomi che alla fine l’hanno spuntata. Il PD esulta, prova a fare tesoro di un risultato che però, confidano in Parlamento UE, crea qualche malumore all’interno del gruppo di cui i dem fanno parte.
Si assicura che non c’era ancora nessun accordo ufficiale per il vicepresidente più importante, e allora a guardare quello che è uscito dal voto segreto al Parlamento Europeo viene da pensare che la presidente Iratxe García Pérez abbia negoziato più seggi per i suoi. Sono cinque, due in più rispetto a quanto avuto finora. Probabilmente era questo il massimo possibile, ma certo il peso politico del centro-sinistra europeo appare molto ridotto.
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A questo punto, non solo per il gruppo parlamentare ma per tutto il Partito del Socialismo Europeo si apre una crisi a livello UE. I vertici del PSE – a partire dal presidente, Sergej Stanišev – dovranno condurre un’attenta riflessione sulle cause del fallimento della strategia per il rinnovo delle cariche dell’Eurocamera e più in generale di un lento declino generale che è culminato nella disfatta di oggi a Strasburgo.
Il crollo dei socialdemocratici negli ultimi anni va ben oltre la Waterloo dell’Eurocamera e può essere tracciato semplicemente elencando i nomi di coloro che occupano le più alte cariche istituzionali dell’UE. O meglio, la loro famiglia politica. Sono tutti in mano al PPE la presidenza, la vicepresidenza e il segretariato generale del Parlamento Europeo (Roberta Metsola, Othmar Karas e Klaus Welle), la presidenza della Commissione UE (Ursula von der Leyen), della Banca Centrale Europea (Christine Lagarde), dell’Eurogruppo (Pascal Donohoe, dopo lo sgarbo del 2020 alla socialista Nadia Calviño), della Corte dei Conti UE (Klaus-Heiner Lehne) e del Meccanismo europeo di stabilità (Klaus Regling, votato a maggioranza PPE).
Se si considera anche la presidenza del Consiglio Europeo (occupata dal liberale Charles Michel), ai socialdemocratici rimane ben poco con cui consolarsi. Non basta certo la carica di alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, ricoperta dallo spagnolo Josep Borrell, con poteri e competenze limitati data l’assenza di una vera e propria politica estera comune.
(ha collaborato Emanuele Bonini)